C’è una grande differenza tra attacco di ansia e attacco di panico. Ma le due condizioni vengono spesso confuse. In questo articolo ti spiego come riconoscere un attacco di panico da un attacco di ansia. Cominciamo!
L’attacco di ansia
Quello che, comunemente, viene chiamato attacco di ansia ha il nome in psicologia di ansia di stato. Per ansia di stato intendiamo una condizione di ansia di tipo situazionale. L’ansia è cioè ascrivibile a una determinata situazione, a un episodio, con un inizio, un’intensità di livello superiore a quello che prova un soggetto nella vita quotidiana, e che si attenua in tempi sufficientemente brevi.
Qualche esempio? Pensata all’ansia da esame. O da primo incontro con la persona che vi piace. O l’ansia che possiamo provare poco prima di una riunione di lavoro importante. O di un colloquio di lavoro. Ma anche all’ansia di non trovare più il cellulare, le chiavi della macchina o il portafogli. In tutti questi casi, l’ansia ha una cornice, e un fattore scatenante, ben definiti. E, conclusosi l’evento attivante, l’ansia scompare.
In tutti questi casi, l’ansia è informazione. Segnala una minaccia al nostro benessere e ci rende pronti a far fronte all’evenienza.
Ci dice quando dobbiamo congelarci, fuggire o combattere e mobilita il nostro corpo per rispondere rapidamente, senza pensare.
Senza ansia, non saremmo in grado di evitare vere minacce al nostro benessere e alla nostra incolumità.
Ma possiamo provare ansia anche solo per situazioni immaginarie, che possono o meno essere significative o reali.
L’ANSIA PUO’ ESSERE NOSTRA AMICA E ALLEATA
In un certo senso, le nostre menti si sono evolute per essere estremamente attente al rilevamento delle minacce. È più probabile che valutiamo le cose come minacce che non. In questo modo non ci perdiamo nulla di ciò potrebbe danneggiarci.
Ma la brutta notizia è che la nostra mente non ha un pulsante “off” per l’ansia. E questo significa che a volte l’ansia diventa un problema.
Tutti gli esseri umani provano ansia quando sperimentano eventi stressanti. Parlare in pubblico, eventi sociali, problemi relazionali, stress sul lavoro e preoccupazioni finanziarie sono fattori scatenanti comuni che fanno sentire le persone in uno stato di ansia.
Tutto nella norma, almeno fino a qui. Succede, invece, a volte, che gli eventi della vita possono scatenare disturbi d’ansia o disturbi di panico.
L’attacco di panico
Le persone spesso dicono di avere o di avere avuto un “attacco di panico” senza sapere davvero cosa sia un attacco di panico. Vediamo allora cos’è un attacco di panico.
Un attacco di panico è un episodio improvviso di intensa paura, che spesso innesca reazioni fisiche e psicologiche anche quando non c’è una vera minaccia. A guardare bene però la minaccia c’è. Ed è reale. E sai qual è? La minaccia di un corpo impazzito, sul quale improvvisamente non ho più controllo. Il cuore batte forte, ho le vertigini, la testa leggera. Fatico a respirare, tremo, sudo. Ho paura che stia morendo, impazzendo o svenendo. Sensazioni terribili che spaventerebbero il più coraggioso degli eroi!
Gli attacchi di panico, infatti possono essere molto debilitanti e limitare la libertà delle persone.
Quando una persona ha un attacco di panico, il suo cuore inizia a battere forte e ha difficoltà a respirare. Alcune persone sentono di perdere il contatto con la realtà. Mentre però alcune persone hanno un solo attacco di panico, altre possono sperimentare episodi ripetuti nel tempo. Per coloro che hanno episodi ricorrenti, i professionisti della salute mentale possono lavorare per aiutare a identificare la causa e i fattori scatenanti.
Qual è la differenza tra attacco di ansia e attacco di panico?
Comprendere la differenze tra attacco di ansia e attacco di panico può aiutare le persone a prendere provvedimenti per affrontare le due condizioni. La conoscenza di queste differenze può anche aiutare le persone a riconoscere se la loro ansia o il loro panico necessita un trattamento. Vediamo ora insieme alcuni esempi di ansia e panico.
Esempio 1: un livello normale di ansia
E’ l’ansia che un individuo prova in una situazione difficile. La paura di un futuro incerto, i ricordi di un passato difficile, le minacce (sia reali che percepite) e la confusione sul mondo che ci circonda sono tutti fattori scatenanti dell’ansia. Si tratta di un’ansia naturale e comprensibile.
Esempio 2: un livello di ansia moderato
Il secondo esempio descrive un individuo che prova ansia quasi costante da almeno 6 mesi. L’ansia riguarda quasi tutte le aree della vita. In questi casi, soprattutto se l’ansia causa disagio o compromissione o limitazioni, è bene fare un check-up psicologico.
Esempio 3: panico
Un individuo che sta vivendo un attacco di panico. Gli attacchi di panico sono più rari – ma più gravi – dell’ansia. Possono venire dal nulla, senza preavviso o provocazione. Oppure possono essere situazionali, cioè indotti da determinate situazioni.
Le persone che hanno attacchi di panico possono provare mancanza di respiro, vertigini, nausea e intorpidimento. Alcuni tremano e sudano.
Gli individui che soffrono di panico spesso sono molto attenti alle sensazioni fisiche che potrebbero essere foriere di panico. Evitano i luoghi in cui potrebbero essersi verificati attacchi di panico in passato. Si arriva persino a evitare di uscire di casa. O di uscire solo in compagnia di qualcuno con il quale ci si sente al sicuro.
La buona notizia
La buona notizia è che sia l’ansia che il disturbo di panico sono altamente curabili con la psicoterapia. Specialmente se intercettati in tempo, al loro esordio. La cattiva notizia, invece, è che ansia e panico raramente guariscono spontaneamente. Non sottovalutarli. L’intervento psicoterapico funziona. E in tempi ragionevolmente brevi. Lasciati aiutare. Ritorna a vivere libero.
Come capire se mio figlio soffre di ansia?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannoneCome capire se mio figlio soffre di ansia? Cosa provoca l’ansia nei bambini? E cosa può fare un genitore di un bambino che soffre di ansia? Esiste una psicoterapia per l’ansia dei bambini? A queste domande proverò a rispondere in questo articolo. Buona lettura!
Come capire se mio figlio soffre di ansia?
Partiamo da qui. Come gli adulti, anche i bambini possono sentirsi in ansia. O soffrire di un disturbo di ansia. Mentre molte forme di ansia sono aspetti normali della crescita che tendono a regredire spontaneamente, altre invece meritano un’attenzione clinica. Per esempio, provare ansia in un contesto nuovo come l’asilo o la prima elementare è del tutto normale. Quest’ansia tende infatti a scomparire in breve tempo.
Ma ci sono invece alcuni campanelli di allarme per capire se un bambino soffre di ansia. Partiamo dai “fearful spells“. In italiano questo concetto può essere tradotto come “stati di ansia o paura”. Si tratta di momenti apparentemente improvvisi di ansia, paura o addirittura panico di cui un bambino può fare esperienza nel corso della sua crescita.
Ma come distinguere l’ansia emozione da un disturbo di ansia? L’ansia nei bambini può diventare un problema quando esperiscono:
In questi casi vale la pena drizzare le antenne, soprattutto se questi problemi persistono e causano un evidente disagio o sofferenza nel bambino.
Come si manifesta l’ansia nel bambino?
Esistono diversi tipi di disturbi di ansia. Nei bambini le 3 forme di ansia più comuni sono:
Cosa può fare un genitore per aiutare suo figlio?
Può fare molto. Ricordate che l’ansia può essere appresa. I vostri figli vi osservano. Se andate in panico a ogni piccola evenienza il bambino imparerà che è quello il modo per far fronte agli imprevisti. Soprattutto quando siete in presenza dei vostri figli, quindi, evitate ogni atteggiamento ansioso eccessivo. Essere calmi e in controllo della situazione è il modo migliore per insegnare ai vostri figli che non c’è motivo di sentirsi in ansia quando accade un imprevisto. Difficile, direte voi. Certo, lo è. Ma vale la pena sforzarsi.
Nel caso invece sospettiate che vostro figli soffra di un disturbo d’ansia potete rivolgervi a uno psicoterapeuta per una prima valutazione. Io, di solito, per esempio, lavoro non solo con il bambino ma anche con i genitori. Lavorare insieme permette di esplorare le dinamiche familiari ed extrafamiliari e i contesti entro i quali si manifesta l’ansia. Ecco alcuni tip per un genitore di un figlio che soffre di ansia:
Qual è la differenza tra attacco di ansia e attacco di panico?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannoneC’è una grande differenza tra attacco di ansia e attacco di panico. Ma le due condizioni vengono spesso confuse. In questo articolo ti spiego come riconoscere un attacco di panico da un attacco di ansia. Cominciamo!
L’attacco di ansia
Quello che, comunemente, viene chiamato attacco di ansia ha il nome in psicologia di ansia di stato. Per ansia di stato intendiamo una condizione di ansia di tipo situazionale. L’ansia è cioè ascrivibile a una determinata situazione, a un episodio, con un inizio, un’intensità di livello superiore a quello che prova un soggetto nella vita quotidiana, e che si attenua in tempi sufficientemente brevi.
Qualche esempio? Pensata all’ansia da esame. O da primo incontro con la persona che vi piace. O l’ansia che possiamo provare poco prima di una riunione di lavoro importante. O di un colloquio di lavoro. Ma anche all’ansia di non trovare più il cellulare, le chiavi della macchina o il portafogli. In tutti questi casi, l’ansia ha una cornice, e un fattore scatenante, ben definiti. E, conclusosi l’evento attivante, l’ansia scompare.
In tutti questi casi, l’ansia è informazione. Segnala una minaccia al nostro benessere e ci rende pronti a far fronte all’evenienza.
Ci dice quando dobbiamo congelarci, fuggire o combattere e mobilita il nostro corpo per rispondere rapidamente, senza pensare.
Senza ansia, non saremmo in grado di evitare vere minacce al nostro benessere e alla nostra incolumità.
Ma possiamo provare ansia anche solo per situazioni immaginarie, che possono o meno essere significative o reali.
L’ANSIA PUO’ ESSERE NOSTRA AMICA E ALLEATA
In un certo senso, le nostre menti si sono evolute per essere estremamente attente al rilevamento delle minacce. È più probabile che valutiamo le cose come minacce che non. In questo modo non ci perdiamo nulla di ciò potrebbe danneggiarci.
Ma la brutta notizia è che la nostra mente non ha un pulsante “off” per l’ansia. E questo significa che a volte l’ansia diventa un problema.
Tutti gli esseri umani provano ansia quando sperimentano eventi stressanti. Parlare in pubblico, eventi sociali, problemi relazionali, stress sul lavoro e preoccupazioni finanziarie sono fattori scatenanti comuni che fanno sentire le persone in uno stato di ansia.
Tutto nella norma, almeno fino a qui. Succede, invece, a volte, che gli eventi della vita possono scatenare disturbi d’ansia o disturbi di panico.
L’attacco di panico
Le persone spesso dicono di avere o di avere avuto un “attacco di panico” senza sapere davvero cosa sia un attacco di panico. Vediamo allora cos’è un attacco di panico.
Un attacco di panico è un episodio improvviso di intensa paura, che spesso innesca reazioni fisiche e psicologiche anche quando non c’è una vera minaccia. A guardare bene però la minaccia c’è. Ed è reale. E sai qual è? La minaccia di un corpo impazzito, sul quale improvvisamente non ho più controllo. Il cuore batte forte, ho le vertigini, la testa leggera. Fatico a respirare, tremo, sudo. Ho paura che stia morendo, impazzendo o svenendo. Sensazioni terribili che spaventerebbero il più coraggioso degli eroi!
Gli attacchi di panico, infatti possono essere molto debilitanti e limitare la libertà delle persone.
Quando una persona ha un attacco di panico, il suo cuore inizia a battere forte e ha difficoltà a respirare. Alcune persone sentono di perdere il contatto con la realtà. Mentre però alcune persone hanno un solo attacco di panico, altre possono sperimentare episodi ripetuti nel tempo. Per coloro che hanno episodi ricorrenti, i professionisti della salute mentale possono lavorare per aiutare a identificare la causa e i fattori scatenanti.
Qual è la differenza tra attacco di ansia e attacco di panico?
Comprendere la differenze tra attacco di ansia e attacco di panico può aiutare le persone a prendere provvedimenti per affrontare le due condizioni. La conoscenza di queste differenze può anche aiutare le persone a riconoscere se la loro ansia o il loro panico necessita un trattamento. Vediamo ora insieme alcuni esempi di ansia e panico.
Esempio 1: un livello normale di ansia
E’ l’ansia che un individuo prova in una situazione difficile. La paura di un futuro incerto, i ricordi di un passato difficile, le minacce (sia reali che percepite) e la confusione sul mondo che ci circonda sono tutti fattori scatenanti dell’ansia. Si tratta di un’ansia naturale e comprensibile.
Esempio 2: un livello di ansia moderato
Il secondo esempio descrive un individuo che prova ansia quasi costante da almeno 6 mesi. L’ansia riguarda quasi tutte le aree della vita. In questi casi, soprattutto se l’ansia causa disagio o compromissione o limitazioni, è bene fare un check-up psicologico.
Esempio 3: panico
Un individuo che sta vivendo un attacco di panico. Gli attacchi di panico sono più rari – ma più gravi – dell’ansia. Possono venire dal nulla, senza preavviso o provocazione. Oppure possono essere situazionali, cioè indotti da determinate situazioni.
Le persone che hanno attacchi di panico possono provare mancanza di respiro, vertigini, nausea e intorpidimento. Alcuni tremano e sudano.
Gli individui che soffrono di panico spesso sono molto attenti alle sensazioni fisiche che potrebbero essere foriere di panico. Evitano i luoghi in cui potrebbero essersi verificati attacchi di panico in passato. Si arriva persino a evitare di uscire di casa. O di uscire solo in compagnia di qualcuno con il quale ci si sente al sicuro.
La buona notizia
La buona notizia è che sia l’ansia che il disturbo di panico sono altamente curabili con la psicoterapia. Specialmente se intercettati in tempo, al loro esordio. La cattiva notizia, invece, è che ansia e panico raramente guariscono spontaneamente. Non sottovalutarli. L’intervento psicoterapico funziona. E in tempi ragionevolmente brevi. Lasciati aiutare. Ritorna a vivere libero.
Confusione mentale post-Covid: cos’è e cosa fare?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe Iannone“Dopo il Covid, nonostante sia tornato negativo, avverto confusione mentale. Che cosa mi sta succedendo? E cosa posso fare?” Uno dei sintomi più invalidanti da post Covid è definita “nebbia cerebrale” o “brain fog”. In questo articolo vediamo assieme cos’è la confusione mentale post-covid e cosa fare.
Cos’è la confusione mentale post-Covid
Durante la pandemia di COVID-19, i medici si sono occupati principalmente della fase acuta e pericolosa della malattia. Era questa la priorità e i sistemi sanitari di tutto il mondo hanno lottato per far fronte all’emergenza sanitaria e per capire come trattare le persone con questa condizione.
Col passare del tempo, tuttavia, l’attenzione si sta spostando sugli effetti persistenti del COVID-19, che gli esperti chiamano COVID lungo.
Ad esempio, ci sono state innumerevoli segnalazioni di problemi di concentrazione e memoria. Da un nuovo studio delle Università di Cambridge ed Exeter nel Regno Unito è emerso che ben il 78% delle persone con sintomi di long-COVID hanno dichiarato di aver avuto difficoltà di concentrazione.
Cos’è la confusione mentale post-covid? Con il termine “nebbia cerebrale” o “brain fog” descriviamo una condizione che ricorda gli effetti dati dalla privazione del sonno o dello stress. Si presenta con una serie di sintomi tra cui:
Tre buone notizie
Perché si soffre di nebbia cerebrale?
La nebbia cerebrale è un fenomeno ben conosciuto e si manifesta in determinate condizioni. Potresti avere sintomi simili dopo altre infezioni, dopo un trauma cranico minore o durante la menopausa. La nebbia cerebrale è comune anche in chi soffre di depressione, ansia o stress.
Durante il recupero dal coronavirus (COVID-19), alcune persone possono soffrire di nebbia cerebrale. I sintomi possono variare e cambiare nel tempo. Non sono solo le persone ricoverate in ospedale con il Coronavirus che possono sviluppare la nebbia cerebrale. Anzi è una sintomo comune del long-COVID.
Ansia, umore depresso e affaticamento giocano tutti un ruolo nell’influenzare il funzionamento del cervello.
Cosa fare?
Ci sono alcune cose che puoi fare per aiutare a gestire i tuoi sintomi:
Ansia senza motivo?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe Iannone“Dottore, provo ansia senza motivo”. Non esiste un’ansia ingiustificata. C’è sempre qualcosa dietro i sintomi di ansia. Il problema è che l’ansia è un camaleonte e può mimetizzarsi benissimo tra le pieghe dell’esistenza, oscurandone i significati. In questo articolo vediamo insieme cosa si nasconde dietro alcune forme di ansia molto comuni.
Ansia senza motivo. Esiste davvero?
Alcuni definiscono l’ansia come la paura che compare in assenza di un pericolo oggettivo. A me piace considerare l’ansia come anticipazione di un pericolo, reale o immaginato, potenziale o di fatto. Cosa significa? Che, nell’ansia, si intravede un pericolo all’orizzonte. Sempre. Il problema è che non sempre riusciamo a mettere a fuoco di che pericolo si tratti. E allora può sembrare che l’ansia arrivi dal nulla. Ecco perché tante persone riferiscono di provare ansia senza motivo. Non esiste ansia senza motivo quindi.
Ansia e sintomi somatici
Le persone che soffrono di ansia tendono a mantenere una costante focalizzazione sul corpo. Non di rado è un episodio di malessere fisico, come un capogiro, vertigine, mal di pancia, spasmo muscolare, calo di zuccheri, sbalzo pressorio, ma anche fame, sete, stanchezza, sonno, o un calo della concentrazione/attenzione, a spaventare le persone e mandarle in uno stato di angoscia. Angoscia che la condizione possa ripresentarsi. Tecnicamente si chiama ansia anticipatoria. E porta la persona a orientare la propria attenzione su quello che succede nel corpo. Con il tempo si diventa sempre più bravi a discriminare qualsiasi variazione corporea e a regolare il raggio di azione in base a come ci si sente o in base al timore di potersi sentire male. Ecco perché tante persone si spaventano se devono allontanarsi da luoghi (o da persone) ritenuti sicuri, come la propria casa, un amico, un familiare, ecc.
L’iperfocalizzazione sui propri stati corporei fa sì che tutto il resto venga messo in secondo piano. Questi soggetti vivono nella paura costante che eventuali sintomi possano riapparire e sorprenderli. Per questo motivo limitano il loro raggio d’azione.
I tre ingredienti dell’ansia:
Sono tre gli elementi che favoriscono il sorgere e il mantenersi di un disturbo d’ansia:
“Se sono in ansia vuol dire che c’è un pericolo”
Sbagliato. Essere in ansia non significa che il mondo sia diventato improvvisamente più pericoloso. Né che stia per sentirmi male. Sarebbe come dire che se sono felice tutto va bene nel mondo. O che il mio corpo goda di perfetta salute. Ma si può essere felici anche se si ha il raffreddore. O una gamba rotta.
L’eccessiva centratura sugli stati viscerali rende le persone sempre meno abili a descrivere l’esperienza emotiva che fanno nelle situazioni nelle quali si trovano. Per esempio, trovarsi in compagnia di persone poco gradite viene configurato soltanto in termini di discomfort corporeo (agitazione, irrequietezza, ecc.) piuttosto che come franca antipatia per chi mi siede accanto e che rende l’esperienza di quel caffè affatto piacevole. Ecco, le persone che soffrono d’ansia darebbero piuttosto la colpa al caffè, che mi ha fatto venire la tachicardia, o al bar che improvvisamente è diventato troppo piccolo, troppo affollato, o troppo rumoroso.
La paura dei sintomi di ansia
A fare paura, poi, sono i sintomi di ansia stessi. La paura è quella di un corpo diventato ingovernabile e che mi rema contro nelle esperienze di tutti i giorni. Che non mi permette più di muovermi come vorrei. Che mi mette tanti limiti e paletti. Un corpo che è diventato il mio padrone. Il mio aguzzino. Ciò che non è chiaro a chi soffre di ansia è che, invece, il corpo è un nostro alleato. Che ci parla attraverso un linguaggio tutto suo, fatto non di parole. Ma che di rado si sbaglia nel sottolineare la scomodità di una situazione. Focalizzarsi sui sintomi è come guardare il dito di chi ci sta mostrando la luna! Occorre invece indirizzare lo sguardo proprio verso ciò che il sintomo ci vuole mostrare. Questo non è sempre facile da fare in autonomia. E infatti è proprio della psicoterapia aiutare la persona a spostare lo sguardo….dal dito alla luna.
Esistono diversi tipi di ansia
Nell’ansia da separazione la persona teme di poter perdere un (s)oggetto d’amore.
Nelle fobie specifiche la persona ha paura di un oggetto, un animale o di situazioni specifiche.
Il disturbo d’ansia generalizzata costringe a vivere in uno stato di ansia e allerta quasi continui e quest’ansia investe quasi ogni ambito della vita.
Nel disturbo di panico la persona teme che un attacco di panico possa sorprenderla in qualsiasi momento. E vive perciò in uno stato di estrema angoscia questa eventualità.
Chi soffre di agorafobia teme di allontanarsi da casa. O vive situazioni di intenso disagio quando si trova in spazi aperti o chiusi per paura di potersi sentire male e di non poter ricevere aiuto.
Alcune forme di ansia, poi, si manifestano come preoccupazione per il timore del giudizio sociale. Come nella fobia sociale.
Ansia e comportamento
Chi soffre di ansia tende a richiedere rassicurazioni continue. Pur temendo il rifiuto dell’altro, poi, oscilla tra la tendenza ad avvicinare gli altri a sé e quella ad allontanarli. Questa ambiguità la si osserva soprattutto nei soggetti che soffrono di disturbo di panico: ci sono volte in cui preferiscono stare in compagnia di qualcuno di fidato, che possa soccorrerli in caso di malessere, e volte in cui provano un forte senso di vergogna o imbarazzo se dovessero sentirsi male in compagnia degli altri. E allora preferiscono stare da soli.
La psicoterapia per l’ansia
L’ansia è un’alterazione – anzi, una restrizione – della libertà che induce sofferenza. Da questa prospettiva non c’è differenza tra malattia fisica o psichica. Entrambe limitano le possibilità d’azione del sofferente. La cura psicoterapica consisterà quindi nella restituzione di quella libertà che l’ansia ha sottratto, che il sintomo ha limitato. E passerà dal ristabilire un dialogo autentico con sé stessi. Dialogo che consentirà alla persona di riconoscere i contesti comodi da quelli scomodi. E di muoversi con sempre maggiore consapevolezza nel mondo.
Coppie e pornografia
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannoneLa maggior parte degli uomini e una proporzione crescente di donne riferiscono di guardare regolarmente materiale pornografico. Dall’avvento di Internet, l’utilizzo della pornografia online ha sollevato una miriade di domande sulle cause, i correlati e i contesti di tale uso. E su come questo impatti sul benessere sia individuale che di coppia.
Un po’ di teoria…
Perché gli individui utilizzano la pornografia? Quali tipi di pornografia vengono usati? E come tale uso influenzi sia il benessere individuale che relazionale? Sono questi alcuni tra i temi al centro del dibattito scientifico sull’argomento nelle ultime decadi.
La teoria dell’interazione simbolica di Blumer sostiene che, comunicare e condividere valori e comportamenti comuni promuove una maggiore intimità e interazioni più positive nella coppia. In particolare, l’auto-rivelazione di interessi, desideri e comportamenti sessuali possono favorire esperienze sessuali positive e una maggiore soddisfazione per la coppia.
L’intimità sessuale e il desiderio sessuale condiviso sono uno dei tanti motivatori che promuovono l’impegno continuo nella relazione.
Parlare di sesso all’interno della coppia rappresenta infatti un fattore chiave nello sviluppo dell’attaccamento interpersonale all’interno di relazioni romantiche. Oggi, la maggior parte delle relazioni romantiche moderne probabilmente inizia con almeno un partner che utilizza regolarmente la pornografia. Ciò suggerisce quindi che parte del processo di costruzione dell’intimità e comunicazione comporterà la decisione di comunicare e condividere le proprie fantasie sessuali (e tra queste l’utilizzo della pornografia) con il partner.
L’uso della pornografia rappresenta un aspetto poco studiato dell’intimità di coppia. Si è però visto che uomini e donne tendono a consumare materiale pornografico con contenuti diversi. Questo implica per esempio che le coppie eterosessuali potrebbero dover negoziare non solo l’uso della pornografia, ma anche il contenuto del materiale visualizzato. O se mettere o meno in pratica ciò che si è visto nei video. Il limite su cosa sia “lecito” fare o meno sta nel rispetto reciproco dei propri desideri.
La pornografia crea dipendenza?
Come il tossicodipendente è indotto a consumare sempre maggiori quantità di droga, così la pornografia può trascinare alcune persona in una vera e propria dipendenza. La dipendenza qui è psicologica: la persona avverte il bisogno incontrollabile di utilizzare materiale pornografico anche quotidianamente: l’utilizzo è in grado di modificare il proprio umore e creare sentimenti di appagamento che non di rado lasciano strascichi di vuoto. La persona dipendente da porno manifesta poi un bisogno crescente di continuare a usare materiale pornografico per raggiungere le le suddette sensazioni. Ma con il tempo si assiste a un fenomeno di abituazione, per cui la persona deve aumentare esponenzialmente sia la quantità di tempo trascorso a guardare porno sia i contenuti, che devono essere sempre più eccitanti.
Infine, la persona sperimenta infatti vere e proprie crisi di astinenza, caratterizzate da ansia e/o irritazione se non può guardare materiale pornografico. O anche manifestare perdita di interesse o indifferenza nei confronti del sesso con il proprio partner perché ritenuto non particolarmente eccitante.
La pornografia può impattare negativamente sulle prestazioni sessuali e sulla vita di coppia?
Sì. Viene chiamata “Sindrome di Centerfold ”: ci si abitua a guardare un corpo non sviluppando la capacità di relazione. Nella pornografia, infatti, si guardano corpi, non persone.
Una giovane paziente mi raccontava di essersi sentita ferita e distante dal proprio compagno quando aveva scoperto che lui di nascosto guardava video porno. “E’ come se dovessi competere con centinaia di anonime che sono nella mente di mio marito e nella nostra intimità. Il nostro letto è affollato di fantasmi di sconosciute”.
La pornografia impatta negativamente sulle prestazioni sessuali quando le persone tendono a fare un confronto con gli attori dei film porno, sviluppando sentimenti di inadeguatezza o addirittura impotenza.
Va ricordato che i film porno sono…film!
E come in ogni film che si rispetti ci sono attori, registi, sceneggiatori che lavorano insieme per la riuscita del film. Il risultato che vediamo sugli schermi è frutto di giorni, settimane, mesi di lavoro per far sì che tutto sia perfetto.
Dico sempre ai miei pazienti: “Ti sentiresti davvero giù di morale se, dopo aver guardato un film di azione tu non fossi in grado di ripetere le gesta dell’eroe del film?”. A quel punto, di solito, il viso del paziente si illumina di un sorriso di sollievo. L’inganno sta proprio qui: confondere il film con la realtà della vita.
Senza scadere in facili moralismi, credo sia opportuno riscoprire la bellezza delle persone che amiamo. Il sesso è sicuramente parte importante di ogni relazione ma non va idolatrato. Occorre dargli il giusto peso, soprattutto all’interno di una relazione stabile dove la qualità del rapporto dipende da altri mille fattori.
Quali sono i sintomi dell’ansia?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannoneQuali sono i sintomi dell’ansia? L’ansia è come un camaleonte, può assumere forme diverse. I sintomi -fisiologici, cognitivi e comportamentali- non sono sempre facilmente riconoscibili. Vediamoli assieme in questo articolo.
Il termine ansia deriva dal latino “angor“, che significa stringere, soffocare. E in effetti i sintomi dell’ansia rimandano a questi due verbi. E alla limitazione delle possibilità d’azione cui costringe chi ne soffre. L’ansia consiste in un insieme di reazioni, fisiologiche, cognitive e comportamentali, a uno stimolo che riteniamo minaccioso e nei confronti del quale non ci riteniamo capaci di reagire adeguatamente.
A volte gli stimoli minacciosi sono stress mentali. Per esempio, quando percepiamo una minaccia sociale che ci fa anticipare la paura di fare una brutta figura o di fallire. Come nel caso di un esame da superare, un colloquio di lavoro da affrontare o un primo appuntamento amoroso.
Altre volte, invece, a mandarci in uno stato di ansia possono essere stimoli interni. Alterazioni fisiologiche come una tachicardia, dispnea, vertigini, ecc. possono allertarci e, nei casi peggiori, sfociare in un attacco di panico.
Ma vediamo ora assieme quali sono i sintomi dell’ansia.
Sintomi fisiologici dell’ansia
I sintomi fisiologici dell’ansia includono:
Alcuni di questi sintomi preparano il corpo a fronteggiare una minaccia. Per esempio:
Sintomi cognitivi dell’ansia
I sintomi cognitivi dell’ansia, soprattutto dell’ansia panica, includono:
Sintomi comportamentali dell’ansia
Le reazioni comportamentali all’ansia includono:
Ansia e panico nei disturbi mentali
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannoneContrariamente a quanto si possa pensare, l’ansia e gli attacchi di panico non sono sempre un sintomo di un disturbo d’ansia. Ansia e panico panico possono infatti manifestarsi anche in altri disturbi mentali. Vediamo assieme in quali.
L’ansia e il panico nei disturbi del neurosviluppo
L’ansia e gli attacchi di panico possono comparire in alcuni disturbi del neurosviluppo.
L’ansia e il panico nei disturbi psicotici
Ansia e panico nei disturbi psicotici può manifestarsi in 3 situazioni specifiche:
Ansia e panico del disturbo bipolare
Ansia e panico nella depressione
Ansia e panico nel disturbo ossessivo-compulsivo
Ansia e panico nel disturbo post-traumatico da stress
Ansia e panico nell’ipocondria
L’ansia e il panico nei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione
L’ansia e il panico nei disturbi del sonno-veglia
L’ansia e il panico nelle disfunzioni sessuali
Nelle disfunzioni sessuali l’ansia è di due tipi:
L’ansia e il panico nei disturbi da sostanze
L’ansia e il panico possono manifestarsi in due condizioni:
L’ansia e il panico nei disturbi neurocognitivi
Ansia, agitazione, disorientamento, confusione e aggressività sono comuni nelle demenze (Alzheimer, frontotemporale, corpi di Lewy, ecc.).
Ansia e panico nei disturbi di personalità
L’ansia e il panico possono manifestarsi in alcuni disturbi di personalità, tra cui:
Diagnosi e trattamento di ansia e panico
Ansia e panico sono trasversali a tantissimi disturbi mentali. Occorre quindi un’accurata fase diagnostica per poter inquadrare i sintomi all’interno di uno specifico disturbo. Una buona diagnosi è infatti necessaria per ricevere un trattamento psicoterapico e/o farmacologico adeguato a ogni situazione specifica.
Panico, ipocondria o ossessione?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannonePanico, ipocondria o ossessione? Si dice che l’ansia abbia mille maschere. Una maschera è l’agitazione. Un’altra è la preoccupazione. Un’altra ancora è la voglia di tenere tutto sotto controllo. E che dire dell’ansia di essere abbandonati? C’è l’ansia di non saper scegliere e l’ansia di fronte alla morte. Esiste poi l’ansia fobica, quella cioè rivolta verso un oggetto o una situazione specifici. E l’ansia panica, dove il nemico diventa addirittura il proprio corpo. Il minimo comune denominatore di tutte queste forme d’ansia è la limitazione della libertà che l’ansia comporta nella vita di chi ne soffre. E dove non c’è la possibilità di scegliere come vivere la propria vita vengono meno sia il concetto di libertà che di autodeterminazione.
Il primo attacco di panico non si scorda mai…
Il primo attacco di panico è spesso, per chi lo vive, un’esperienza traumatizzante. Alcune persone la raccontano come un’esperienza di quasi-morte. La tachicardia improvvisa, il dolore al petto, la fame d’aria, la sudorazione, i tremori. E la paura di impazzire, di morire o di fare un gesto sconsiderato. Tutti sintomi vissuti come estranei e allarmanti che conducono spesso la persona al più vicino pronto soccorso. In genere l’attacco di panico non dura più di 20-30 minuti. Ma l’esperienza è così drammatica da lasciare la persona nella preoccupazione e nell’angoscia che il panico possa ritornare. E allora si è costretti a riorganizzare la propria vita in vista di questa possibilità. Ci si limita negli spostamenti. Si ha bisogno di qualcuno di fidato con cui affrontare la quotidianità. Si evita di restare da soli. Non si va più a fare la spesa. Non si prendono più i mezzi pubblici. E la lista potrebbe continuare ancora.
Il panico è un’esperienza traumatizzante perché ci sorprende nella sua drammaticità. E produce una modificazione e una discontinuità nella nostra vita. “Da quel primo attacco di panico nulla è stato più come prima“, mi racconta un giovane paziente che seguo in terapia. “Mi sento vulnerabile e indifeso. Alla mercé di un corpo che improvvisamente si è ribellato e che non riesco più a controllare”. “E’ il mio corpo il principale nemico da combattere e tenere costantemente sott’occhio“. Per chi sopravvive al primo attacco di panico (quindi per il 100% dei casi) non è più possibile sentirsi sicuri nel proprio corpo. Ma ci si sente esposti al pericolo che può sopraggiungere, dall’interno, in qualsiasi momento. Mentre per chi soffre di una fobia basta evitare l’oggetto o la situazione temuti (ho paura degli aerei, non prendo gli aerei e sto bene) per chi soffre di panico è impossibile scappare da ciò che si teme!.E a nulla servono le condotte di protezione e di evitamento per fuggire dal panico. Come si suol dire: non puoi fuggire dalla tua ombra!
Panico, ipocondria e mania di controllo
E’ facile scadere nell’ipocondria una volta fatta esperienza di un attacco di panico. Improvvisamente ci si riscopre in un corpo vulnerabile, sensibile e fragile. E del fatto che dipendo dai capricci del mio corpo. Che non posso controllare totalmente. Prendere coscienza dei propri limiti corporei è insopportabile per alcuni individui. E il monitoraggio ansioso del proprio corpo è un tentativo (fallimentare) di riottenere un controllo completo sul corpo che si è improvvisamente imbizzarrito.
La psicoterapia per il panico
La lotta contro il proprio corpo può durare anche una vita intera, se non si interviene con un percorso di cura efficace. Dovrò dipendere dai capricci del mio corpo? Come posso convivere con i miei limiti? Come posso ritrovare la mia libertà? Qual è il mio posto nel mondo? Sono queste alcune delle domande che aiutano la persona a riposizionarsi e a radicarsi nuovamente nell’esistenza. Una buona psicoterapia per la cura dell’ansia deve saper aiutare la persona non solo a guarire dai sintomi dell’ansia ma a fare sì che si riappropri della propria libertà e ritorni a vivere pienamente.
Sono bipolare?
/in Psicologia clinica /da Giuseppe IannoneCosa (NON) è il disturbo bipolare?
Cambiare idea repentinamente e facilmente NON significa soffrire di disturbo bipolare. E il disturbo bipolare NON è un atteggiamento, né un lato del carattere. Spesso si fa confusione tra l’avere continui sbalzi d’umore e soffrire di disturbo bipolare. Il disturbo bipolare è una malattia mentale molto grave e invalidante caratterizzata da veri e propri terremoti emotivi. Le oscillazioni dell’umore sono estreme e si verificano non così spesso come si crede (in media 2-3 all’anno).
Quali sono i principali sintomi del disturbo bipolare?
La mania (o l’ipomania) e la depressione sono le due polarità attorno alle quali si addensano i sintomi del disturbo bipolare.
La mania
Nel disturbo bipolare di tipo 1, la persona sperimenta fasi di mania caratterizzate da un umore espanso e un’euforia esagerata. Tutto appare a portata di mano. Ogni progetto sembra realizzabile. Si tratta di un vissuto che non ha nulla a che vedere col sentirsi allegri o felici. La persona sperimenta un’impennata dei livelli di energia, ha bisogno di pochissime ore di sonno e di cibo. E’ molto più loquace del solito. E’ più litigiosa, irritabile o arrabbiata. L’autostima raggiunge livelli da perfetto narcisista. Aumenta la libido. E aumentano i comportamenti spericolati. La persona può così lanciarsi in investimenti ad alto rischio, certa di un ritorno economico. O in comportamenti sessualmente promiscui. In poche parole, si da alla pazza gioia. Un mio paziente mi raccontò che, in fase di mania, acquistò in una sola mattina tre auto di lusso e cinque moto. La mania dura almeno 7 giorni (l’ipomania ha invece una durata di circa 4 giorni). Questa fase del disturbo è così invalidante da richiedere l’ospedalizzazione.
What goes up, must come down: benvenuta depressione
La depressione può seguire, ma anche precedere, un episodio di mania o di ipomania. In questa fase del disturbo la persona sperimenta un umore triste, si sente disperata, fatica a prendersi cura di sé. Non esce più di casa, non va a lavorare, non studia. Ciò che in mania appare come fattibile, nella depressione appare distante e irraggiungibile. Si fa fatica persino a tirarsi giù dal letto. La durata della fase depressiva è di solito più lunga di quella maniacale. La persona può versare in uno stato depressivo anche per mesi. Lo switch tra mania e depressione può essere rapido e immediato. Ma può anche accadere che la persona sperimenti un periodo di umore normale tra un episodio di mania e uno di depressione.
A volte, infine, mania e depressione possono manifestarsi contemporaneamente (si parla in questi casi di stati misti).
Le cause del disturbo bipolare
L’eziopatogenesi del disturbo bipolare è multifattoriale e complessa. E comprende cause genetiche, neurobiologiche e ambientali.
Bipolari si nasce? Il ruolo della genetica
Esiste una predisposizione genetica per il disturbo bipolare. I geni principali coinvolti nel disturbo sono il CACNA1 e l’ANK3. E i tassi di ereditarietà sono davvero alti (intorno all’80-90%). Si calcola che il rischio di soffrire di disturbo bipolare sia 10 volte maggiore in chi ha un genitore con disturbo bipolare. Ma la predisposizione non è una condanna. Non tutte le persone geneticamente predisposte a sviluppare un disturbo bipolare si ammaleranno.
La neurobiologia del disturbo bipolare
Squilibri a livello di alcuni neurotrasmettitori che regolano l’ umore (serotonina, dopamina e norepinefrina) sono correlati al disturbo bipolare. Inoltre, la ricerca suggerisce che il volume della materia grigia nei lobi frontale e temporale (due aree importanti nella regolazione delle emozioni) è minore in persone con disturbo bipolare. Così come inferiore è il volume dell’ippocampo (struttura che regola l’inibizione comportamentale). Trattandosi di correlazioni è difficile dire se le alterazioni precedono o seguono la malattia.
Che ruolo hanno le influenze ambientali nel disturbo bipolare?
Stress, abuso di sostanze e stile di vita (per esempio qualità e quantità del sonno) sono tra i principali fattori ambientali che, sulla base di una vulnerabilità genetica, possono slatentizzare un disturbo bipolare.
Esiste una cura per il disturbo bipolare?
Tutte le linee guida delle società scientifiche (sia mediche che psicologiche) indicano che i 3 pilastri della cura del disturbo bipolare sono:
La cura si declina sia come profilattica che di mantenimento. Spesso psicoterapia, psicoeducazione e farmacoterapia sono utilizzate in sinergia per attaccare la patologia da più fronti.
Quali farmaci si usano nella cura del disturbo bipolare?
I farmaci maggiormente efficaci nella cura del disturbo bipolare sono:
Che ruolo hanno la psicoterapia e la psicoeducazione?
La psicoeducazione aiuta sia i pazienti che i familiari a riconoscere i prodromi del disturbo, a prevenire le ricadute e a fornire importanti indicazioni e informazioni sul disturbo bipolare. Famoso è il protocollo Colom-Vieta.
La psicoterapia è un valido aiuto in fase di eutimia (umore normale) con un paziente compensato farmacologicamente. La psicoterapia aiuta il paziente ad aderire ai trattamenti e interviene sulle dinamiche sia personologiche che relazionali dell’individuo. Occorre infatti sempre tenere in mente che dietro qualsivoglia disturbo mentale c’è sempre una persona.
Ho paura di prendere l’aereo
/in Psicologia clinica /da Giuseppe Iannone“Ho paura di prendere l’aereo. Ma anche il treno, la metropolitana, l’autobus, persino l’automobile. Non mi sento a mio agio se sono al cinema, a teatro, in una sala, in ufficio, in aula, al ristorante, in ascensore… Cerco sempre con lo sguardo la via di fuga più vicina a me. Così nel caso in cui dovessi sentirmi male avrei un’uscita di sicurezza a me prossima”.
Inizia così il racconto di un giovane paziente che sto seguendo in psicoterapia. Tecnicamente soffre di claustrofobia: un disturbo d’ansia tanto comune quanto invalidante. Secondo il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5), esistono molte categorie di disturbi d’ansia. Per esempio il disturbo d’ansia da separazione, il disturbo d’ansia sociale, il disturbo di panico, il disturbo d’ansia generalizzato, il mutismo selettivo e le fobie specifiche.
La claustrofobia è una delle tante fobie. Una fobia è una paura che causa una compromissione significativa della capacità di una persona di vivere una vita normale. Un esempio di compromissione della vita è evitare l’oggetto o lo scenario specifico che si teme.
Quante fobie?
Le fobie specifiche possono essere suddivise in diversi sottotipi, a seconda dell’oggetto o della situazione temuti:
Claustrofobia
Le fobie specifiche sono una paura estrema di determinate attività, persone, oggetti o situazioni. La claustrofobia è un tipo di fobia specifica, in cui si ha paura degli spazi chiusi. Esempi di spazi chiusi sono i mezzi di trasporto, le macchine per la risonanza magnetica, gli ascensori, ecc.
Chi ne soffre generalmente evita o sopporta a fatica l’oggetto o la situazione particolari che scatenano la loro paura. La paura può essere espressa come pericolo di danno, disgusto o esperienza dei sintomi fisici non piacevoli quando ci si trova in presenza della situazione o dell’oggetto che genera paura.
Cosa succede nel cervello?
Cosa succede nel cervello delle persone che soffrono di claustrofobia e mostrano quindi una grande paura e ansia quando si trovano in spazi chiusi? Succede che le regioni frontali del cervello non sono più in grado di sottoregolare l’iperattivazione dell’amigdala. Studi metaanalitici di maging funzionale del cervello in fobie specifiche hanno indicato che le regioni del cervello attivate dagli stimoli fobici sono il globo pallido, l’amigdala e l’insula sinistra.
Quante persone soffrono di claustrofobia?
La claustrofobia ha una prevalenza nel corso della vita e su 12 mesi di circa il 10%. Questo significa che una persona su dieci può ritrovarsi a soffrire di claustrofobia!
Ne soffro anche io?
Prima di tutto è necessario stabilire se la paura rappresenti una fobia, una paura normale, una condizione medica generale o un disturbo d’ansia. In fase diagnostica faccio sempre domande su come il disturbo sia nato, valuto se e come la paura influenzi la vita quotidiana e le dinamiche familiari.
Successivamente esploro in maniera approfondita i vari sintomi, sia fisici ed emotivi. Durante le sedute di psicoterapia valuto attentamente se la persona riporta sintomi fisici come difficoltà respiratorie, tremori, sudorazione, tachicardia, secchezza delle fauci e dolore toracico. Valuto sempre anche i sintomi emotivi,come. sensazione di ansia o paura opprimenti, paura di perdere il controllo, comportamenti di evitamento delle situazioni temute.
E se non fosse claustrofobia?
Occorre molta cautela in fase diagnostica. Non sempre i sintomi riportati sono garanzia che la persona soffra di claustrofobia. Esistono infatti condizioni e disturbi mentali che possono essere facilmente scambiati per claustrofobia. Tra questi, il disturbo da stress post-traumatico, la fobia sociale, il disturbo bipolare, il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo d’ansia da separazione, un disturbo depressivo, e, non ultimo, la dipendenza da alcool.
Altro fattore da considerare (e questa è una brutta notizia), C’è una probabilità dell’83% di scoprire più fobie specifiche una volta diagnosticata una particolare fobia come la claustrofobia.
Si guarisce dalla claustrofobia?
Guarire dalla claustrofobia si può. Un percorso di psicoterapia specifico per i disturbi d’ansia dà in genere buoni risultati.
Esistono diverse tecniche per la cura della claustrofobia. Tecniche di esposizione graduale, di immaginazione guidata, di rilassamento e respirazione. Ma soprattutto occorre risalire al primus movens, alla causa del disturbo per poter intervenire in maniera efficace. Non è raro che la claustrofobia sia metafora di una costrizione esistenziale, come il ritrovarsi in una situazione senza apparente via di uscita (relazioni o un lavoro non soddisfacenti, ecc.). La paura di non poter scappare, quando il contesto diventa troppo opprimente e non consente una fuga facile, fa appello al nostro istinto di sopravvivenza.
Come nel caso dell’agorafobia, una distanza eccessiva da luoghi o persone ritenuti sicuri può comportare a sentimenti di abbandono, con i pericoli conseguenti, così una vicinanza eccessiva può portare alla paura della perdita di sé stessi, della con-fusione con l’altro.
Infine, a seconda della situazione, e tenendo conto delle preferenze del paziente, una cura farmacologica con SSRI e/o benzodiazepine può essere abbinata alla psicoterapia per la cura della claustrofobia.