Un trauma da bambino può causare ansia da adulti?

Una cosa per volta. Partiamo dalla definizione di “trauma” perché il termine viene spesso usato erroneamente in riferimento a molte esperienze dolorose o spiacevoli che tuttavia non costituiscono un trauma.

Un evento traumatico è un evento spaventoso, pericoloso o violento che rappresenta una minaccia per la vita o l’integrità fisica di una persona. Anche essere testimone di un evento traumatico che minaccia la vita o la sicurezza fisica di una persona cara può costituire un’esperienza traumatica.

Le esperienze traumatiche possono innescare forti emozioni e reazioni fisiche che possono persistere a lungo dopo l’evento. I bambini possono provare terrore, impotenza o paura, oltre a reazioni fisiologiche come battito cardiaco accelerato, vomito o perdita del controllo dell’intestino o della vescica. I bambini che sperimentano l’incapacità di proteggersi o che non hanno protezione dagli altri per evitare le conseguenze dell’esperienza traumatica possono anche sentirsi sopraffatti dall’intensità delle risposte fisiche ed emotive.

Ciò è particolarmente importante per i bambini piccoli poiché il loro senso di sicurezza dipende dalla sicurezza percepita delle loro figure di attaccamento.

Anche se gli adulti lavorano duramente per mantenere i bambini al sicuro, accadono ancora eventi pericolosi. Questo pericolo può provenire dall’esterno della famiglia (come un disastro naturale, un incidente automobilistico, una sparatoria a scuola o la violenza della comunità) o dall’interno della famiglia, come la violenza domestica, l’abuso fisico o sessuale o la morte inaspettata di una persona cara .

Quali esperienze possono essere considerate traumatiche?

  • Abuso fisico, sessuale o psicologico e negligenza
  • Disastri naturali (terremoti, alluvioni, tsunami, ecc.)
  • Atti terroristici
  • Violenza familiare o comunitaria
  • Perdita improvvisa e violenta di una persona cara
  • Esperienze di guerra (inclusa la tortura e la condizione di rifugiato)
  • Incidenti gravi o malattia mortale

Quando un bambino si trova in una di queste situazioni in cui teme per la propria vita o la vita dei suoi cari, crede di poter essere ferito, assiste a, o è vittima di, violenze oppure perde tragicamente una persona cara, può mostrare segni di stress traumatico infantile. I bambini che soffrono di stress traumatico infantile sono coloro che, esposti a uno o più traumi nel corso della loro vita, sviluppano reazioni che persistono e influenzano la loro vita quotidiana dopo che gli eventi si sono conclusi.

Il trauma infantile è associato al successivo sviluppo di disturbi depressivi e d’ansia.

In uno studio condotto nei Paesi Bassi (Kuzminskeite, 2022) su quasi 3 mila adulti

il 48% ha riferito di aver subito un trauma infantile. Di questi, il 21% ha riportato un trauma grave, mentre il 27% ha riportato un trauma lieve

Tra quelli con trauma, l’89% presentava un disturbo d’ansia o depressivo in corso o in remissione Tra i partecipanti che non hanno riportato alcun trauma, il 68% presentava un disturbo psichiatrico in corso o in remissione

La disregolazione dei sistemi implicati nella risposta allo stress può contribuire a spiegare perché il trauma infantile ha un impatto psichiatrico così drammatico e duraturo.I ricercatori di questo studio hanno scoperto che i livelli di cortisolo e di infiammazione erano significativamente elevati nelle persone con gravi traumi infantili rispetto a quelli senza traumi infantili. Le persone con gravi traumi infantili tendevano inoltre ad avere un indice di massa corporea più elevato, a fumare di più e ad avere altre abitudini malsane che potrebbero rappresentare un meccanismo di “coping” per gestire il trauma. Coloro che avevano subito traumi infantili avevano anche tassi più elevati di asma, diabete e malattie cardiovascolari. Infine le persone con traumi infantili hanno almeno il doppio del rischio di sviluppare il cancro in età avanzata.

I ricercatori hanno poi esaminato i marcatori immuno-infiammatori stimolati dai lipopolisaccaridi (LPS) in base alla gravità del trauma infantile. Ciò fornisce una misura più “dinamica” dei sistemi di stress rispetto a misurare solo i livelli circolanti statici nel sangue. Quasi tutte le persone con traumi infantili, in particolare quelle che avevano subito traumi gravi, avevano le citochine stimolate da LPS sovraregolate.

Tutti i bambini che fanno esperienze traumatiche sviluppano uno stress traumatico?

Fortunatamente, anche quando i bambini vivono un evento traumatico, non sempre sviluppano uno stress traumatico. Molti fattori contribuiscono ai sintomi, tra cui:

  • Gravità dell’evento. Quanto è stato grave l’evento? Quanto gravemente è stato ferito fisicamente il bambino o qualcuno che ama? La polizia è stata coinvolta? I bambini sono stati separati dai loro caregiver? Sono stati intervistati da un avvocato, un agente di polizia o un assistente sociale? È morto un amico o un familiare?
  • Vicinanza all’evento. Il bambino si trovava effettivamente nel luogo in cui si è verificato l’evento? Hanno visto accadere l’evento a qualcun altro o ne sono stati una vittima? Il bambino ha guardato l’evento in televisione? Hanno sentito una persona cara parlare di quello che è successo?
  • Reazioni dei caregiver. Come hanno reagito i caregiver? Il bambino ha affronto l’evento da solo?
  • Storia precedente di trauma. I bambini continuamente esposti a eventi traumatici hanno maggiori probabilità di sviluppare reazioni di stress traumatico.
  • Fattori familiari e comunitari. La cultura, la razza e l’etnia dei bambini, delle loro famiglie e delle loro comunità possono essere un fattore protettivo, il che significa che i bambini e le famiglie hanno qualità e/o risorse che aiutano a proteggersi dagli effetti dannosi delle esperienze traumatiche e delle loro conseguenze. Uno di questi fattori protettivi può essere l’identità culturale del bambino. La cultura ha spesso un impatto positivo sul modo in cui i bambini, le loro famiglie e le loro comunità rispondono, si riprendono e guariscono da un’esperienza traumatica. Al contrario, le esperienze di razzismo e discriminazione possono aumentare il rischio di un bambino di sviluppare sintomi di stress traumatico.

Ansia e cibo

L’ansia è una condizione che può manifestarsi in molte forme, come attacchi di panico, fobia sociale, disturbo d’ansia generalizzato e disturbi del sonno, disfunzioni sessuali, ecc. Uno dei modi in cui l’ansia può influenzare la vita delle persone è attraverso i loro comportamenti alimentari. Molte persone che lottano con l’ansia possono avere una relazione complicata con il cibo, e questa relazione può avere conseguenze negative sulla loro salute mentale e fisica. Il cibo può essere utilizzato come mezzo per attivarsi e uscire da uno stato di vuoto, isolamento, noia, ecc. Oppure per “spegnersi”, quando si è particolarmente stressati. In entrambi i casi il cibo viene utilizzato quasi fosse una droga in grado di “accenderci” o “spegnerci”.

Mangiare per gestire le emozioni: lo fai anche tu?
Mangiare per gestire le emozioni: lo fai anche tu?Mangiare per gestire le emozioni: lo fai anche tu?

Ansia e fame nervosa

Una delle relazioni più comuni tra ansia e cibo è la fame nervosa. Mangiare per gestire le emozioni negative influenza i nostri comportamenti alimentari. Ciò significa che possiamo mangiare non solo quando abbiamo fame fisica, ma anche quando ci sentiamo emotivamente turbati o stressati.Quando una persona mangia non per fame, ma per gestire le emozioni negative come lo stress, la tristezza o l’ansia, si parla di fame nervosa per distinguerla dalla fame fisiologica. Quando ci si trova in uno stato di ansia, il nostro corpo reagisce producendo l’ormone dello stress noto come cortisolo. Il cortisolo è associato a un aumento dell’appetito e, in particolare, ad un desiderio di cibi ad alto contenuto di grassi e zuccheri. Questo è perché questi cibi possono fornire un immediato senso di comfort e gratificazione, aiutando a ridurre temporaneamente i livelli di stress e ansia.. Tuttavia, l’utilizzo del cibo come meccanismo di fronte all’ansia può diventare un circolo vizioso, in cui l’aumento di peso e le conseguenze negative sulla salute possono ulteriormente aumentare l’ansia e lo stress. Inoltre, quando siamo ansiosi, spesso siamo meno attenti alle nostre sensazioni di fame e sazietà e possiamo mangiare anche quando non siamo veramente affamati.

Ansia e restrizione alimentare

Quando sono in ansia mi si chiude lo stomaco“.

Mentre l’ansia può portare alcune persone a mangiare di più, in altre può avere l’effetto opposto e causare una diminuzione dell’appetito. Infatti alcune persone che lottano con l’ansia possono avere una relazione complicata con il cibo caratterizzata da quadri di restrizione alimentare. Questo può essere dovuto alla paura di prendere peso o di non essere in grado di controllare il proprio comportamento alimentare. Ma più spesso è causata direttamente da sintomi fisici d’ansia quali dolori o fastidi gastro-intestinali, pancia gonfia, nausea, capogiri e vertigini, tensione muscolare e mal di testa, che possono rendere difficile mangiare normalmente. La restrizione alimentare può portare a una serie di conseguenze negative, come carenze nutrizionali, disturbi alimentari e un aumento del rischio di sviluppare disturbi dell’umore come la depressione.

Questo avviene perché quando siamo in uno stato di ansia l’attivazione del sistema nervoso simpatico causa una diminuzione del flusso sanguigno al tratto gastrointestinale. Questo può influenzare negativamente la digestione e la capacità di assorbire nutrienti, rendendo il cibo meno appetitoso e causando una riduzione dell’appetito. Infine, alcune persone possono ridurre il loro apporto calorico come una forma di controllo quando si sentono ansiose. La restrizione alimentare può fornire una sensazione di controllo e sicurezza quando ci sentiamo emotivamente turbati, ma può anche portare a problemi di salute a lungo termine.

Strategie per gestire l’ansia e il cibo

In conclusione, l’ansia può influenzare i nostri comportamenti alimentari in diversi modi, aumentando o riducendo il nostro desiderio di cibo e portandoci a mangiare anche quando non siamo veramente affamati o a non provare fame anche quando dovremmo mangiare. È importante essere consapevoli di questi fattori e cercare di trovare modi sani per gestire l’ansia senza ricorrere al cibo come meccanismo di fronte alle emozioni negative. Per gestire l’ansia e il cibo, è importante sviluppare abitudini alimentari sane e trovare modi più funzionali per gestire lo stress e l’ansia.

Quando mangiamo (o non mangiamo) per motivi non legati alla fame fisica, ma piuttosto come meccanismo per gestire le emozioni negative come lo stress, l’ansia, la tristezza o la noia possiamo parlare di fame emotiva. La gestione della fame emotiva richiede una certa consapevolezza e pratica, ma può essere raggiunta con alcuni semplici passi:

  1. Identifica le tue emozioni: è importante essere consapevoli delle proprie emozioni e riconoscere quando stai cercando di gestirle attraverso il cibo. Prova a tenere un diario delle tue emozioni e di cosa mangi quando sei emotivamente turbato.
  2. Cerca di distogliere la tua mente dal cibo: una volta che hai riconosciuto che stai cercando di gestire le emozioni attraverso il cibo, cerca di distrarti con attività che ti piacciono o che ti fanno sentire bene, come fare una passeggiata, ascoltare musica o leggere un libro. Cambiare contesto, per esempio uscire di casa, spesso aiuta.
  3. Scegli alimenti sani: se decidi di mangiare per gestire le tue emozioni, cerca di scegliere alimenti nutrienti e sani che ti aiutino a soddisfare la fame senza esagerare con le calorie. Alcuni esempi possono essere la frutta fresca, le verdure crude o cotte al vapore, le noci o il pesce.
  4. Impara a riconoscere la fame fisica: impara a distinguere tra la fame fisica e quella emotiva. Quando hai fame fisica, il tuo stomaco emette un rumore o un senso di vuoto, mentre la fame emotiva spesso non viene accompagnata da sensazioni fisiche. Cerca di ascoltare il tuo corpo e mangia solo quando sei realmente affamato.
  5. Cerca supporto: parla con un amico o un professionista della salute mentale per trovare modi sani per gestire le tue emozioni e la tua fame emotiva. Può essere utile anche partecipare a un gruppo di sostegno o a un corso di gestione del peso che ti aiuti a sviluppare abitudini alimentari sane.
  6. Le persone che lottano con l’ansia possono anche beneficiare di tecniche di rilassamento come lo yoga, la meditazione o la respirazione profonda.
  7. Anche il mindful eating può essere una buona strategia per imparare a distinguere tra fame fisiologica, fame emotiva e senso di sazietà, soprattutto quando si soffre di ansia.
  8. Infine, è importante cercare sostegno da un professionista della salute mentale o un nutrizionista esperto in disturbi alimentari, se necessario. L’intervento combinato di queste due figure, poi, offre indubbiamente risultati duraturi.

Imparare a riconoscere le tue emozioni, scegliere alimenti sani e trovare modi sani per gestire lo stress e l’ansia può aiutarti a sviluppare abitudini alimentari sane e a mantenere un equilibrio nella tua vita.

sesso e ansia

Sex and the… anxiety! Quando l’ansia impatta sul sesso.

L’ansia da prestazione e l’ansia anticipatoria sono due condizioni nemiche del buon sesso. Chi ne soffre riporta diverse problematiche sessuali, tra cui difficoltà a raggiungere o mantenere l’erezione, eiaculazione precoce o ritardata, dolore durante la penetrazione, difficoltà di lubrificazione, ecc.

Sesso e ansia da prestazione

In questo articolo ho parlato di cosa si intenda per ansia da prestazione. Nella sfera sessuale, l’ansia da prestazione si manifesta come un timore di non poter performare adeguatamente durante un incontro sessuale. Chi soffre di ansia da prestazione vive con forte angoscia l’esperienza sessuale. La paura di fare brutta figura, quella di essere giudicati negativamente dal partner, o addirittura il rischio che possa spargersi la voce di un possibile flop tra le lenzuola è spesso sufficiente per sottrarsi ed evitare l’incontro sessuale. Da dove origina l’ansia da prestazione? Ci possono essere diverse cause, alcune tra le più importanti sono:

  • un’esperienza di défaillance a letto
  • elevati livelli di perfezionismo
  • bassa autostima
  • un’eccessiva attenzione ai segnali del proprio corpo
  • la paura del giudizio altrui

In questo articolo ti spiego come superare l’ansia da prestazione.

Sesso e ansia anticipatoria

L’ansia anticipatoria viene spesso confusa con l’ansia da prestazione ma in realtà si tratta di due costrutti non totalmente sovrapponibili. Ho parlato di ansia anticipatoria in questo articolo. Ma che rapporto c’è tra sesso e ansia anticipatoria? E’ presto detto: la persona inizia a immaginare scenari catastrofici legati alla possibilità di non riuscire ad avere un rapporto sessuale soddisfacente col partner. Anche in questo caso il timore può essere così paralizzante che la persona evita di trovarsi in situazioni in cui avverte la possibilità di un incontro sessuale.

“Perché mi sento in ansia quando devo fare sesso”?

Il sesso è molto più di una semplice attività fisica. Non c’è dubbio che anche le emozioni giochino un ruolo fondamentale quando ci si mette a nudo di fronte a un’altra persona. Il sesso dovrebbe essere un’attività intima, piacevole e divertente, ma è difficile spassarsela se ci si preoccupa costantemente di come stia andando l’incontro. Quali sono allora le cause dell’ansia da prestazione sessuale?

Esistono diverse cause alla base dell’ansia da sesso:

  • Paura di non soddisfare sessualmente il partner.
  • Autospectatoring. Quando tu diventi il centro delle tue preoccupazioni, l’altro scompare e il sesso si riduce a un atto masturbatorio in presenza del partner.
  • Cattiva immagine corporea, compresa la preoccupazione per il proprio peso o la propria forma (seno, spalle, braccia, sedere, ecc.)
  • Problemi relazionali: nelle coppie stabili, il buon sesso è frutto di un rapporto di coppia basato sull’affetto, l’amore, la stima e il rispetto reciproci. Quando una di queste componenti viene a mancare il sesso ne risente.
  • Preoccupazione per i propri organi genitali (pene troppo piccolo, ecc.)
  • Paura di eiaculare troppo presto o di impiegare troppo tempo per raggiungere l’orgasmo. O non raggiungerlo affatto. E allora, chissà l’altro cosa penserà di me?
  • Poca intimità relazionale con il partner (questo vale soprattutto per le one night stand!). Cambiare spesso partner sessuale non consente ad alcune persone di raggiungere quella intimità, fiducia e serenità che sono alla base di rapporti sessuali soddisfacenti.

    Le preoccupazioni sono correlate al rilascio di alcuni ormoni dello stress, come l’adrenalina e la norepinefrina. Uno degli effetti degli ormoni dello stress è quello di restringere i vasi sanguigni. Quando scorre meno sangue lungo il pene, è più difficile avere un’erezione, per esempio. Anche chi normalmente non ha problemi a eccitarsi può non essere in grado di godere a pieno dell’esperienza sessuale quando sopraffatto dall’ansia da prestazione.


Lo stato d’animo influenza profondamente la capacità di eccitarsi. Anche quando ci si trova a letto con qualcuno di sessualmente attraente, preoccuparsi di essere in grado di soddisfare il partner può rendere davvero difficile fare sesso.

L’ansia da prestazione sessuale non viene diagnosticata così spesso nelle donne come negli uomini, ma può influenzare l’eccitazione anche nelle donne. L’ansia può impedire alle donne di raggiungere un’adeguata lubrificazione per fare sesso e può accompagnarsi a dolore durante la penetrazione e a un ridotto desiderio di fare l’amore.

L’ansia può portarti fuori dalla giusta mentalità per il sesso. Quando sei concentrato sul fatto che ti esibirai bene, non puoi concentrarti su quello che stai facendo a letto. Anche se sei in grado di eccitarti, potresti essere troppo distratto per raggiungere l’orgasmo.

L’ansia da prestazione sessuale porta a un ciclo di problemi. Potresti diventare così ansioso per il sesso che non puoi esibirti, il che porta a un’ansia da prestazione ancora maggiore.

Come superare l’ansia da prestazione sessuale?


Di solito è bene escludere ogni causa medica. Per questo motivo una visita da un andrologo o un ginecologo potrà aiutarti a valutare e trattare eventuali cause organiche legate a difficoltà sessuali.

Se la causa non è organica, puoi chiedere aiuto a uno psicoterapeuta specializzato in problematiche sessuali. La terapia può aiutarti a capire e quindi a ridurre o eliminare i problemi che causano la tua ansia da prestazione sessuale.

Sii aperto con il tuo partner. Parlare con il tuo partner della tua ansia può aiutarti ad alleviare alcune delle tue preoccupazioni e trovare una soluzione insieme, come la terapia di coppia.

Il sesso non è solo penetrazione. Un massaggio o una doccia insieme sono modi di vivere l’intimità senza ansia da performance.

Fai esercizio fisico. L’allenamento non solo ti fa sentire meglio con il tuo corpo, ma migliora anche la tua resistenza a letto.

Infine, sii buono con te stesso. Non rimproverarti per il tuo aspetto o le tue capacità a letto. A volte, il peggior critico di te stesso sei proprio tu, non l’altro. Accetta le tue fragilità, anche a letto.

Cos’è il sesso per te?

Ci hai mai pensato? Le persone attribuiscono al sesso significati diversi. Per alcuni il sesso è solo divertimento, un modo per rilassarsi, per godere, per esibirsi, per dimenticare, per attivarsi, per fuggire dalla noia, per pompare un po’ il proprio ego, per sentirsi accettati. Per altri è un modo di vivere a pieno l’intimità con il proprio partner, fino a diventare “una carne sola“, in una fusione perfetta di corpi e anime che si raccontano di volersi bene. Per altri ancora il sesso è mero atto procreativo. Quale significato attribuisci tu al sesso? E’ in linea con il significato attribuitogli dal tuo partner? Ti faccio un esempio. Mi capita spesso di lavorare con coppie che si rivolgono a me per intraprendere un percorso di psicoterapia di coppia per problemi sessuali. Sono diversi i significati che per ciascuno di loro ha il sesso. Così, lei incalza lui: “Dobbiamo fare sesso in questi giorni perché sono fertile e io voglio un bambino a tutti i costi, perché alla soglia dei 40 anni il tempo stringe“. E allora lui, che magari neanche è troppo convinto di voler diventare genitore, inizia improvvisamente a lamentare difficoltà di erezione, di eiaculazione o di mancanza di desiderio. Oppure, coppie in cui quando uno dei due non raggiunge l’orgasmo scoppia il putiferio “perché significa che non ti piaccio abbastanza o perché sicuramente avrai l’amante!”. E giù a piangere o ad arrabbiarsi. Altre coppie poi utilizzano il sesso come strumento per premiare o punire l’altro (concedendosi o meno al partner in base a come l’altro si comporta e corrisponde o meno alle mie aspettative: il famoso “Stasera scordatela!“. Altre volte, nel calo di desiderio o nelle difficoltà di lubrificazione, erezione e/o raggiungimento dell’orgasmo è il corpo che si sottrae in tutta la sua fisicità, nella carne, alla relazione, laddove la persona non riesce a comunicare al partner che la storia è finita. Difficoltà economiche, lavorative, questioni familiari sono poi tutti fattori stressanti che possono impattare negativamente sulla sfera sessuale. Attraverso la psicoterapia di coppia è possibile esplorare il significato che il sesso ha per ciascuno dei partner e lavorare insieme per migliorare la comunicazione e l’intimità relazionale, prima ancora che sessuale. Un buon sesso non potrà che scaturire da una ritrovata intesa di coppia.

differenza ansia panico

Perché ho paura di parlare in pubblico?

La paura di parlare in pubblico è considerata un disturbo d’ansia sociale. E’ la fobia più comune, addirittura prima di quella della morte, dei ragni o delle altezze. Il National Institute of Mental Health riferisce che l’ansia di parlare in pubblico, o glossofobia, colpisce circa il 40% della popolazione. Il timore sottostante alla paura di parlare in pubblico è il giudizio o la valutazione negativa da parte degli altri.

Perché parlare in pubblico fa più paura che morire?

Sembrerebbe strano a primo impatto, tuttavia la psicologia dell’evoluzione ci insegna che alla base di questa paura ci sono radici primordiali. I nostri antenati erano vulnerabili ai grandi animali e agli elementi ambientali. Vivere in una tribù era fondamentale alla sopravvivenza. Il rifiuto da parte del gruppo significava spesso l’uscita dalla tribù e una morte certa. Ebbene, parlare a un pubblico, se si teme di essere rifiutati, giudicati o valutati negativamente dagli altri ci espone allo stesso timore dei nostri antenati: essere emarginati dal gruppo di riferimento, con conseguente perdita di status sociale ed economico.

Il cervello mi si è spento e ho fatto scena muta

Un fenomeno comune che chi ha paura di parlare in pubblico esperisce è il cosiddetto “spegnimento del cervello“. Sarà capitato a molti, almeno una volta nella vita, di ritrovarsi a balbettare, sudare o fare scena muta (o quasi) nel ritrovarsi a parlare in pubblico (pensiamo a un’interrogazione a scuola, a un esame orale all’università, a un colloquio di lavoro, a un appuntamento galante, a un meeting di lavoro, ecc.). La sola prospettiva di attirare l’attenzione del pubblico e di essere al centro del giudizio altrui è spesso sufficiente per “spegnere” il nostro cervello. In termini più tecnici, a deattivarsi sono soprattutto i lobi frontali, sotto l’effetto degli ormoni dello stress, e ciò rende più difficile recuperare le informazioni in memoria. La minaccia percepita si traduce immediatamente anche in risposte corporee che vanno dall’aumento della frequenza cardiaca a quella respiratoria. Nonostante non si tratti di una minaccia alla nostra sicurezza che richiede un’azione immediata (come, per esempio, se stiamo per essere investiti da un’auto) il nostro cervello reagisce come se il pericolo fosse lì, davanti a noi, grave e imminente. La preoccupazione di fare scena muta o di provare alcune sensazioni come sudorazione, tremori, balbettio, rossore in viso, ecc. aumenta la nostra ansia. E, ironia della sorte, questo aumenta la probabilità che la nostra mente si svuoti, e che facciamo scena muta.

Cosa fare per sconfiggere la paura di parlare in pubblico?

Ecco alcuni consigli per sconfiggere la paura di parlare in pubblico che spero troverai utili:

  1. Anticipa il disastro. Chi parla spesso in pubblico conosce bene questo trucco del mestiere. Ti spiego meglio in cosa consiste. Anticipa all’audience che molto probabilmente arrossirai, balbetterai, tremerai o sarai in uno stato di forte ansia. Condividere con gli altri come ti senti ti farà sentire maggiormente in contatto con l’audience.
  2. Attenzione alle percezioni abnormi. Spesso chi ha paura di parlare in pubblico crede che stia arrossendo, sudando, balbettando o tremando più di quanto stia accadendo sul serio. Le sensazioni che provi (calore, tremore, ecc.) possono essere molto evidenti a te, che le stai vivendo in prima persona ma spesso non sono notate dagli altri (che spesso sono più concentrati su loro stessi che su di te).
  3. Il perfezionismo non aiuta. Stabilire standard irraggiungibili per pronunciare un discorso senza macchia aumenta l’ansia. Un discorso perfetto non è possibile. Mira a fare del tuo meglio, non alla perfezione.
  4. Il silenzio è d’oro. E la parola d’argento, recita un vecchio detto. Prendi confidenza con il silenzio praticandolo nelle conversazioni. Ciò che a noi sembra un’eternità potrebbe non sembrare così al pubblico. Non è un delitto fare pause di silenzio mentre parli. Esercitiamoci a tollerare il disagio (spesso tutto nostro) che deriva da pause prolungate di silenzio.
  5. L’evitamento rafforza. Evitare ciò che ci spaventa lo rende sempre più grande nella nostra mente.
  6. Prova e riprova, esponiti più che puoi alle situazioni temute per aumentare la fiducia in te stesso. Fallo gradualmente ma con costanza.
  7. Esercitati ma non memorizzare. Non c’è dubbio che la preparazione creerà fiducia. Ma memorizzare i discorsi ci indurrà a pensare che esista solo un modo per esprimere un’idea. E allora, dimenticare una frase potrà gettarci nel panico. La memorizzazione fornisce un falso senso di sicurezza. Abituati a improvvisare.
  8. Esercitati con appunti scritti. Scrivere il discorso può aiutare a formulare idee. Esercitati a parlare usando i punti in elenco ed elabora i concetti, rendendoli tuoi, personalizzandoli (in quanto a stile, non a contenuto ovviamente).
  9. Concentrati sul messaggio che vuoi consegnare a chi ti ascolta invece che sulle parole precise da usare, men che meno su di te.
  10. Esercitati a riprenderti da uno “spegnimento del cervello”. Pratica strategie di recupero interrompendo di proposito il discorso e spostando l’attenzione altrove. Quindi, fai riferimento alle note per riprendere da dove ti eri interrotto.
  11. Preparati al peggio. Se sappiamo cosa fare nello scenario peggiore (e lo mettiamo in pratica), avremo fiducia nella nostra capacità di gestirlo. Lo facciamo preparando cosa dire al pubblico se la nostra mente si svuota.
  12. Impara a rilassarti. Ricorda di respirare. Non parlare in apnea. Possiamo ridurre l’ansia respirando in modo diverso. Anche mentre parli, fai inspirazioni lente ed espirazioni ancora più lente con brevi pause intermedie.
  13. Parla lentamente. È naturale accelerare il nostro discorso quando siamo ansiosi. Esercitati a rallentare il discorso durante le prove. Quando parliamo velocemente, il nostro cervello percepisce la situazione come minacciosa . Parlare lentamente e con calma, invece, dà il messaggio opposto al nostro cervello.
  14. Stabilisci un contatto visivo con il pubblico. I nostri nervi potrebbero dirci di evitare il contatto visivo. Stabilire un contatto visivo con una faccia amica rafforzerà la fiducia e rallenterà il nostro modo di parlare.

E se tutto questo non bastasse?

Puoi provare con la psicoterapia. Il disturbo d’ansia sociale può essere invalidante e impedirti di arrivare dove vuoi. Parlane con il tuo psicoterapeuta di fiducia. O cercane uno esperto in disturbi d’ansia. Insieme troverete la soluzione al problema di parlare in pubblico.

Solitudine e salute mentale

Alzi la mano chi non si è mai sentito solo in vita sua. Una descrizione comune della solitudine è la sensazione che proviamo quando abbiamo bisogno di gratificazione il contatto sociale e le relazioni non sono soddisfatte.

Qual è la differenza tra essere soli e sentirsi soli?

Stare da soli non coincide necessariamente col sentirsi soli. A volte infatti puoi scegliere di stare da solo e vivere felicemente senza molti contatti con altre persone, mentre altre volte ti accorgi di patire la solitudine come una vera e propria spina nel fianco. Oppure potresti avere molti contatti sociali, trovarti in una relazione affettivia o essere parte di una famiglia, e sentirti comunque solo, soprattutto se non ti senti compreso dalle persone intorno a te.

La solitudine è un problema di salute mentale?

Sentirsi soli non è di per sé un problema di salute mentale, ma i due sono fortemente collegati. Avere un problema di salute mentale può aumentare le possibilità di sentirsi soli. Per esempio, se soffri di disturbo d’ansia sociale, di panico, di agorafobia, di depressione o di disturbo evitate di personalità, potresti trovare difficile impegnarti in attività che coinvolgono altre persone, il che potrebbe portare a una mancanza di contatti sociali significativi e causare sentimenti di solitudine.

“Vorrei essere in grado di interagire con le persone e creare nuove connessioni, ma la mia ansia si fa sentire come una barriera invisibile che non posso sfondare”, racconta Marco in terapia.

Sentirsi soli può anche avere un impatto negativo sulla tua salute mentale, specialmente se la solitudine dura da tempo e non è gradita. La solitudine si associa a un aumentato rischio di alcuni problemi di salute mentale, tra cui depressione, ansia, bassa autostima, problemi di sonno e aumento dello stress.

“La mia ansia e la mia depressione mi isolano dalle persone, mi impediscono di poter fare il
cose che mi piacerebbe fare così socialmente mi taglia fuori


Cosa causa la solitudine?
La solitudine ha diverse cause che variano da persona a persona o nella stessa persona nel tempo.
Alcuni eventi possono gettarsi nel baratro della solitudine (soprattutto se già prima non si possedeva una buona rete sociale):
• un lutto
• la fine di una relazione
• andare in pensione e perdere il contatto sociale che avevi al lavoro
• cambiare lavoro e sentirsi isolati dai colleghi
• cominciare o finire l’università
• trasferirsi in una nuova città senza famiglia né amici.


Altre persone, poi, scoprono di sentirsi sole in certi periodi dell’anno, come nel periodo natalizio o delle vacanze estive.

Persone che vivono in determinate circostanze o che appartengono aruppi particolari sono più vulnerabili alla solitudine.

Per esempio, persone che :
• non hanno amici né famiglia
• si sentono non capiti dalla loro famiglia
• genitori single o persone che si prendono cura di qualcun altro
• appartenenti a gruppi minoritari
• sono escluse dalle attività sociali a causa di problemi di mobilità o economici

• subisconodiscriminazioni e stigma a causa del genere, razza, sesso od orientamento sessuale

• hanno subito abusi sessuali o fisici – e trovano più difficile stringere rapporti intimi con altre persone.

Alcune persone, poi, provano sentimenti profondi e costanti di solitudine che provengono dall’interno e non scompaiono, indipendentemente dalla loro situazione sociale o da quanti amici hanno. Ci sono molte ragioni per cui si sperimenta questo tipo di solitudine. Ci si può sentire incapaci di piacere a se stessi o agli altri, oppure potresti non avere fiducia in te stesso.

Come posso gestire la solitudine?

Pensare a cosa ti fa sentire solo può aiutarti a trovare un modo per sentirti meglio.

• Inizia andando da qualche parte, come in un caffè, a un evento sportivo, a una mostra, in palestra, ovunque tu possa stare con altre persone. Anche se non ci parli, potresti scoprire che semplicemente stare con altre persone è sufficiente per farti sentire meno solo.

• Vai da qualche parte dove non è previsto che tu interagisca subito, come un gruppo sportivo, di lettura, di teatro, ecc., dove siete tutti concentrati su un’attività.

Sorridi e saluta per primo. A tutti piace ricevere un sorriso e un saluto!

Ti lascio con una frase: un estraneo è solo un amico che non ho ancora incontrato.

ossessioni e compulsioni

Come guarire dalle ossessioni e dalle compulsioni?

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è una patologia psicologica che si caratterizza per la presenza di pensieri intrusivi e ricorrenti (ossessioni) e di comportamenti ripetitivi e ritualizzati (compulsioni). Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi indesiderati e persistenti che causano ansia e disagio, mentre le compulsioni sono comportamenti o atti mentali ripetitivi che vengono messi in atto per ridurre l’ansia causata dalle ossessioni.

Le ossessioni possono riguardare diverse tematiche, come ad esempio la pulizia, la simmetria, il controllo, la sicurezza, la religione, la sessualità, la salute, la perfezione, la contaminazione, la responsabilità, la morte. Le compulsioni possono invece assumere forme diverse, come ad esempio la pulizia, il controllo, il conteggio, il ripetere frasi o gesti, il verificare ripetutamente, il raccogliere oggetti.

Il DOC colpisce circa il 2-3% della popolazione e si manifesta in modo diverso a seconda delle persone e delle situazioni. Le ossessioni e le compulsioni possono essere presenti contemporaneamente o in modo separato, e possono variare in intensità e frequenza nel corso del tempo. In alcuni casi, il disturbo può interferire significativamente con la vita quotidiana della persona, impedendole di svolgere le attività lavorative, sociali e familiari in modo adeguato.

Quali sono le cause del disturbo ossessivo-compulsivo?

Le cause del DOC non sono ancora del tutto conosciute, ma si ritiene che siano di natura biologica, psicologica e ambientale. Alcuni studi hanno suggerito la presenza di un disordine neurochimico a livello cerebrale, con una disfunzione dei circuiti cerebrali implicati nella regolazione dell’ansia e del controllo degli impulsi. Inoltre, il DOC sembra avere una componente genetica, con un maggiore rischio di sviluppare il disturbo in presenza di familiarità.

Ecco alcuni fattori che potrebbero contribuire allo sviluppo del DOC:

  1. Fattori biologici: Sembra che il DOC sia influenzato dalla genetica e dalla neurobiologia. Studi hanno dimostrato che ci può essere un maggiore rischio di sviluppare il disturbo in presenza di familiarità. Inoltre, alcune anomalie neurobiologiche, come ad esempio un disordine neurochimico a livello cerebrale e una disfunzione dei circuiti cerebrali implicati nella regolazione dell’ansia e del controllo degli impulsi, possono contribuire allo sviluppo del DOC.
  2. Fattori psicologici: Alcuni esperti ritengono che il DOC sia causato da un’interazione complessa di fattori psicologici, come ad esempio traumi infantili, ansia, stress, bassa autostima, problemi di relazione e pensiero distorto. Inoltre, alcune teorie suggeriscono che il DOC potrebbe essere causato da un conflitto tra l’impulso e la rimozione dell’impulso.
  3. Fattori ambientali: Alcuni fattori ambientali, come ad esempio eventi stressanti nella vita, possono aumentare il rischio di sviluppare il DOC. Inoltre, l’apprendimento di comportamenti compulsivi da parte di figure di riferimento o il mantenimento di comportamenti compulsivi a causa di rinforzi ambientali possono influenzare lo sviluppo del DOC.

È importante sottolineare che questi fattori possono interagire in modo complesso e che la causa esatta del DOC può variare da persona a persona. Inoltre, lo sviluppo del disturbo può essere influenzato da molteplici fattori, non solo da uno. È importante che le persone che sospettano di avere il DOC cercano il supporto di un professionista qualificato per una diagnosi accurata e un trattamento adeguato.

Quali sono le ossessioni più comuni?

Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi indesiderati, ricorrenti e persistenti che causano ansia e disagio. Le ossessioni più comuni nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) includono:

  1. Paura di contaminazione: questo tipo di ossessione comporta la paura di contrarre malattie o di contaminarsi attraverso il contatto con oggetti o persone.
  2. Pensieri violenti o sessuali: queste ossessioni coinvolgono pensieri o immagini violente o sessuali che causano disagio e ansia.
  3. Necessità di simmetria o precisione: questa ossessione riguarda la necessità di avere simmetria, ordine e precisione in tutto ciò che si fa, come ad esempio l’allineamento perfetto degli oggetti.
  4. Timore di causare danno: questa ossessione riguarda la paura di causare danno a se stessi o agli altri, anche involontariamente.
  5. Necessità di verificare: questa ossessione comporta la necessità di controllare e verificare ripetutamente cose come le porte o gli elettrodomestici, per assicurarsi che siano chiusi o spenti.
  6. Pensieri religiosi o spirituali: queste ossessioni riguardano la preoccupazione per questioni religiose o spirituali, come ad esempio la paura di peccare o la preoccupazione per la propria salvezza.
  7. Paura di perdere il controllo: questa ossessione comporta la paura di perdere il controllo su di sé, sulla propria mente o sul proprio comportamento.
  8. Necessità di accumulare: questa ossessione riguarda la necessità di accumulare oggetti, anche quelli inutili o dannosi, per paura di perderli o di sentirsi inadeguati senza di essi.

Queste sono solo alcune delle ossessioni più comuni nel DOC. È importante sottolineare che ogni persona con il DOC può sperimentare ossessioni diverse e che il trattamento deve essere personalizzato per adattarsi alle esigenze individuali.

Quali sono le compulsioni più comuni?

Le compulsioni sono comportamenti o rituali ripetitivi che vengono eseguiti per alleviare l’ansia causata dalle ossessioni. Le compulsioni più comuni nel disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) includono:

  1. Pulizia e lavaggio: questa compulsione comporta il lavaggio ripetuto delle mani o del corpo, o la pulizia ripetuta di oggetti o superfici, per eliminare la paura di contaminazione.
  2. Controllo e verifica: questa compulsione riguarda la necessità di controllare e verificare ripetutamente le cose come le porte o gli elettrodomestici, per assicurarsi che siano chiusi o spenti.
  3. Conteggio e organizzazione: questa compulsione comporta il conteggio ripetuto di oggetti o il bisogno di organizzare le cose in un modo specifico.
  4. Ripetizione di frasi o pensieri: questa compulsione riguarda la ripetizione ripetuta di frasi o pensieri, per esempio per evitare che accada qualcosa di negativo.
  5. Evitamento: questa compulsione comporta l’evitamento di situazioni che possono scatenare le ossessioni o le compulsioni, come ad esempio evitare di toccare oggetti che si pensa possano essere contaminati.
  6. Ripetizione di azioni: questa compulsione riguarda la necessità di eseguire azioni ripetutamente, come ad esempio chiudere e riaprire la porta più volte prima di uscire.
  7. Preghiera o rituali religiosi: questa compulsione riguarda l’esecuzione di preghiere o rituali religiosi ripetitivi, per esempio per evitare di peccare.
  8. Raccolta o accumulo: questa compulsione comporta l’accumulo di oggetti, anche quelli inutili o dannosi, per paura di perderli o di sentirsi inadeguati senza di essi.

Queste sono solo alcune delle compulsioni più comuni nel DOC. È importante sottolineare che ogni persona con il DOC può sperimentare compulsioni diverse e che il trattamento deve essere personalizzato per adattarsi alle esigenze individuali.

Come si cura il disturbo ossessivo-compulsivo?

Il disturbo ossessivo-compulsivo (DOC) è un disturbo che può essere trattato efficacemente con una combinazione di psicoterapia e farmaci.

  1. Psicoterapia: la psicoterapia è molto efficace per il trattamento del DOC. La psicoterapia solitamente si concentra sulla terapia espositiva e sulla prevenzione della risposta. Questo tipo di terapia coinvolge l’esposizione graduale alla fonte di ansia del paziente (es. lavarsi le mani) e l’apprendimento di nuove strategie di fronte alle ossessioni e alle compulsioni (es. tecniche di rilassamento o di distrazione). La psicoterapia per il DOC può anche includere la terapia cognitiva, che si concentra sulla modifica dei pensieri e delle credenze distorte del paziente riguardo alle sue ossessioni e compulsioni e sui significati delle ossessioni e compulsioni per ogni persona.
  2. Farmaci: I farmaci utilizzati per il trattamento del DOC sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e gli inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina (SNRI). Questi farmaci aiutano a regolare i livelli di serotonina nel cervello, che può aiutare a ridurre le ossessioni e le compulsioni. Gli SSRI e gli SNRI possono richiedere alcune settimane per diventare efficaci e possono avere effetti collaterali, quindi è importante lavorare con un medico per determinare la dose giusta e il regime di trattamento.
  3. Altri interventi: Alcuni pazienti possono beneficiare di altre terapie, come ad esempio la terapia di gruppo o la terapia familiare. Inoltre, alcune terapie complementari, come la meditazione e lo yoga, possono aiutare a ridurre l’ansia e migliorare il benessere generale.

È importante sottolineare che il trattamento del DOC deve essere personalizzato e adattato alle esigenze individuali del paziente. Una combinazione di psicoterapia e farmaci è spesso la migliore strategia di trattamento, ma è importante lavorare con un professionista qualificato per sviluppare un piano di trattamento che funzioni per il paziente.

E' possibile impazzire durante un attacco di panico

E’ possibile impazzire durante un attacco di panico?

La paura di impazzire, di perdere il controllo o di fare qualcosa di sconsiderato è uno dei sintomi cognitivi più invalidanti e spaventanti di un attacco di panico. Ma davvero è possibile impazzire durante un attacco di panico?

Perché durante un attacco di panico ci sembra di impazzire?

I pensieri catastrofici si susseguono alla velocità della luce. La paura ci attanaglia il cuore e non ci fa respirare. Lo sguardo si muove, incerto e smarrito, alla ricerca di un punto di riferimento. Le vertigini e lo sbandamento rendono tutto instabile di fronte a noi. La derealizzazione e la depersonalizzazione ci fanno vivere come se noi stessi e il mondo non fossero reali. E ci sembra di essere a un passo dal baratro della pazzia. Perché? Cosa succede durante un attacco di panico?

La paura di impazzire è nota nel linguaggio psicoterapico come frenofobia o psicotofobia.

La paura di impazzire è uno dei tanti sintomi di un attacco di panico. Può essere correlata ad altri sintomi del panico stesso.

  1. Depersonalizzazionederealizzazione. Entrambe le condizioni sono tra i sintomi più comuni durante gli attacchi di panico (ma possono comparire anche durante periodi di stress intenso). Causando importanti cambiamenti soggettivi nella percezione, possono creare una sensazione di disconnessione con il corpo e con il resto del mondo che può portare a una sensazione di impazzire.
  2. Iperventilazione. L’aumento della frequenza degli atti respiratori in condizione di riposo causa un aumento dell’ossigeno nel sangue e una riduzione dell’anidride carbonica. Questo causa alcalosi respiratoria, ossia un aumento del pH del sangue.
  3. Vertigini. La sensazione di instabilità,
  4. o vuota può essere confusa con la sensazione di stare per impazzire.
  5. Scosse” alla testa. La testa sembra vibrare, quasi il cervello sia improvvisamente attraversato da una forte scossa elettrica. No, non stiamo impazzendo. Si tratta di una normale risposta che il nostro corpo mette in atto quando ci troviamo in condizioni di forte ansia o stress.
  6. Paura. La paura, si sa, gioca brutti scherzi. A partire da una condizione di forte paura è facile convincerci che stiamo per impazzire o perdere il controllo.

Paura di impazzire o attacchi di panico: cosa causa cosa?

La paura di impazzire è un sintomo cognitivo degli attacchi di panico. Detta così sembrerebbe che il panico causi la paura di impazzire. Ed è vero. Ma è anche vero che la paura di impazzire può portare ad attacchi di panico, che possono anche accrescere ulteriormente la convinzione che si sta effettivamente impazzendo. Un circolo vizioso dal quale se ne esce con una buona psicoterapia specifica per l’ansia e il panico.

Pazzia o solitudine?

La sensazione di impazzire, di perdere il controllo o anche il semplice sentirsi irrequieti possono essere correlati al sentirsi soli o disconnessi dagli altri. L’interazione sociale con gli altri è fondamentale per il tuo benessere mentale. E la mancanza di rapporti sociali di qualità (ossia caratterizzati da intimità, amicizia, affetto e amore) può facilmente farci sprofondare in sentimenti di paura e ansia (l’esperienza del lockdown durante l’emergenza Covid ce l’ha fatto toccare con mano). Possiamo sentirci disconnessi, poi, se abbiamo perso una persona cara o anche quando ci sentiamo incompresi o non amati dagli altri. 

Cosa fare quando credo che sto per impazzire durante un attacco di panico?

Di solito, di fronte alla paura di impazzire durante un attacco di panico ci sentiamo sopraffatti, impauriti e indifesi. Ma occorre ricordare tre cose:

  1. Si tratta di una sensazione. Dobbiamo imparare a sfidare i nostri pensieri, le nostre emozioni e le nostre sensazioni. Perché non tutti dicono il vero di noi e su quello che ci sta succedendo.
  2. La sensazione è temporanea. In genere la paura acuta passa già dopo 10-15 minuti. Quella che resta è una sorta di ansia anticipatoria che la paura di impazzire possa tornare.
  3. Ascoltami bene. L’idea che tu pensi che stai per impazzire indica di fatto che la tua mente è consapevole della realtà e che tu non sei pazzo. Hai mai sentito dire a un “pazzo” che è pazzo? Io ancora no 🙂
amico o psicologo

Ne parlo con un amico o con uno psicologo?

Davanti a una questione che ci assilla spesso parlare con qualcuno può aiutarci in diversi modi. Condividere il problema, sfogarsi, ricevere un consiglio (o a volte anche solo un abbraccio) aiuta a fare luce e ridare serenità. Ma in quali situazioni il consiglio di un amico non basta ed è meglio rivolgersi a uno psicologo? Qual è la differenza tra amico e psicologo?

Amico o Psicologo?

Se avessi la possibilità di parlare con uno psicoterapeuta o con un amico, forse la maggior parte di noi sceglierebbe di parlare con un amico. Come mai? Per diverse ragioni. Gli amici ci danno consigli che vogliamo sentire. Abbiamo l’impressione che i nostri amici si prendano cura di noi e vogliano il meglio per noi. E poi, parlare con un amico non costa nulla. Al massimo, quando avranno bisogno di te, gli restituirai il favore.

La psicoterapia, invece, ha lo scopo di aiutare le persone a comprendere e rimediare a un problema.

Le persone vanno in terapia per tutti i tipi di motivi. A volte per trattare un sintomo clinico, come ansia, panico, depressione, stress, ecc. Altre volte, invece per problemi relazionali, di coppia, sul lavoro, ecc.

Chi trova un amico trova un tesoro…

L’amicizia è un bene così prezioso e raro da essere equiparata a una persona che trova un tesoro! L’amicizia è un valore fondamentale capace di superare i confini spaziali, i legami di sangue, le stagioni della vita e di liberarci da tante paure. Ci capita sempre più spesso di sentire affermazioni tipo “ il cane è il miglior amico dell’uomo”. Personalmente questa frase mi fa venire i brividi. Il miglior amico dell’uomo è l’uomo. Troppo comodo un cane da comandare. Tutt’altra storia avere a che fare con esseri umani come noi. Giocarsela alla pari. Scendere dal piedistallo di voler comandare e farsi obbedire.

Qualcuno ha definito le amicizie la famiglia che ci scegliamo. Ed è davvero così. Infatti, se genitori, fratelli, sorelle, ecc. ci vengono dati senza che noi abbiamo possibilità di scelta. non è così per gli amici. Siamo noi a scegliere o a essere scelti e chiamati a un rapporto di amore, fiducia e rispetto reciproci.

Con un amico puoi condividere gioie e dolori, puoi confidarti, aprire il tuo cuore. Ma ci sono situazioni nelle quali il consiglio di un amico non ci basta. Perché?

… e chi trova uno psicologo?

Tante volte le persone arrivano in terapia portando una questione che li assilla e che sembra irrisolvibile. Le hanno provate tutte. Dall’autoanalisi della situazione, al confronto con un amico o con il partner. Ma nulla è servito a migliorare le cose. Diciamocelo: per alcune situazioni il consiglio di un amico non basta. Perché? Cos’ha lo psicologo che l’amico non ha?

Ci sono molte differenze tra il sostegno che può offrire un amico e la relazione terapeutica con lo psicologo. Vediamone assieme qualcuna.

  1. Lo psicoterapeuta (a differenza dell’amico) è un professionista della salute mentale autorizzato e formato per aiutare i propri pazienti a migliorare la propria vita, sviluppare le competenze necessarie per far fronte alle sfide e alle situazioni della vita. Lo psicoterapeuta, infatti, è stato specificamente formato (di solito un percorso di psicologia+psicoterapia dura almeno 10 anni!) nella scienza (e nell’arte) del comportamento umano, della conversazione, interpretazione, valutazione e trattamento sia di disturbi mentali che di questioni non cliniche (per esempio relazionali). Anche se spesso può sembrare una conversazione “casual”, il terapeuta sa porre domande durante la sessione per aiutarti a scoprire il significato e riflettere sulle esperienze di vita e su come queste hanno plasmato la tua situazione attuale. Può aiutarti a guardare come i tuoi pensieri, le tue emozioni e il tuo dialogo interiore contribuiscono a generare e mantenere la situazione problematica in atto. L’amico no.
  2. La terapia ha confini chiari. La psicoterapia si gioca in un setting clinico, sicuro, confidenziale, professionale, solidale ed empatico per esplorare gli aspetti di sé difficilmente valutabili in setting non clinici, come nelle amicizie o nelle altre relazioni personali. Infatti, incontrerai il tuo terapeuta a un’ora specifica e di solito nel suo ufficio online o in presenza. L’amico, invece, è reperibile (quasi) sempre.
  3. In terapia, il focus è su di te. In un’amicizia, sia tu che il tuo amico ascoltate i problemi l’uno dell’altro e vi supportate a vicenda. Nella relazione terapeutica, l’attenzione è esclusivamente su di te. Un terapeuta, a differenza di un amico, non parlerà mai dei propri problemi poiché il focus della relazione terapeutica è su di te.
  4. Lo psicoterapeuta è obiettivo. Poiché non ha una relazione personale con te (ma soltanto professionale), lo psicoterapeuta non è influenzato dai sentimenti personali. Ed è imparziale quando guarda alla tua situazione e ascolta la tua storia.
  5. La psicoterapia è un processo di dispiegamento della nostra saggezza intrinseca che spesso è intrappolata sotto strati di condizionamento o paura. I nostri amici spesso sono felici o tristi per noi ma in genere non si occupano di supportare la crescita e il cambiamento a lungo termine. Né, tantomeno, sono capaci di guarirci da sintomi o disturbi mentali. Non basta parlare con un amico per guarire dall’ansia, dal panico o dalla depressione. Sarebbe come dire, se ho l’appendicite o una gamba rotta ne parlo con un amico e guarirò.

Ricordo ancora come una mia paziente definì la psicoterapia online per curare i suoi attacchi di panico:

E’ stata una delle esperienze più preziose della mia vita. Nei miei momenti di prova personale, la psicoterapia online è stato un porto sicuro, un luogo in cui ricevevo feedback, intuizioni e prospettive uniche da qualcuno che non mi conosceva ma che sapeva leggere dentro di me”.

Potremmo riassumere la differenza tra parlare con un terapeuta e un amico con questa analogia: lo psicoterapeuta è come un allenatore che dalla panchina osserva la tua vita. I tuoi amici, invece sono i tuoi compagni di squadra, che giocano con te e proprio per questo non hanno una prospettiva più ampia su quello che succede in campo. Entrambi i ruoli sono importanti ma le funzioni di ciascuno sono diverse.