paura di amare

La paura di amare (e di essere amati)

Esistono diverse “patologie dell’amore” che non consentono ad alcune persone né di dare né di ricevere amore. A volte è colpa dell’ansia, a volte di un trauma. Oppure la paura di amare e di essere amati ha a che fare con specifiche caratteristiche personologiche che impediscono alle persone di entrare in una relazione autentica con gli altri.

Cosa significa amare?

Tante persone confondono l’amore con l’innamoramento. L’innamoramento è una fase dell’amore nella quale tendiamo a idealizzare la persona amata. Sono le famose farfalle nello stomaco. La parte dolce della storia. Il momento in cui gli ormoni impazziti ci rendono capaci di ogni gesta per la persona amata. Ma cosa succede quando l’innamoramento si trasforma, si smorza e ritorniamo con i piedi per terra? Per alcuni quello è il momento di “abbandonare la nave” e terminare la relazione. “Non sentivo più nulla”, “Avevo bisogno di nuovi stimoli”, “Tutto era routine”, “Eravamo diventati amici più che partner”.

L’amore vero però entra in gioco proprio ora. E’ questo il momento in cui finalmente riesco a vedere l’altro con tutti i suoi limiti. E decido di amarlo ugualmente. Non amo le mie emozioni, le mie farfalle. Non sono dipendente dalla dopamina che l’innamoramento mi garantiva. Ma scelgo di impegnarmi in una relazione matura, profonda e duratura. Facciamo un esempio. Chi ha un cane sa bene cosa succede quando il cucciolo entra in casa. Tutto è novità, dolcezza, coccole. Uscire a passeggio è una vera gioia. Non si riescono a staccare gli occhi dal cucciolo. Lo subissiamo di coccole e attenzioni. Ma cosa succede quando in una giornata di pioggia in cui siamo magari anche raffreddati, dobbiamo portare il nostro cane a spasso? Un buon padrone, si imbacucca di tutto punto e, sfidando il raffreddore e le intemperie, porta comunque a spasso il suo cane. Perché lo fa? Non di certo perché gli va. Ma perché comprende che nella gratuità di gesto ne va dell’esistenza di un’altra creatura.

La stessa cosa succede quando, di notte, un neonato si sveglia piangendo. Se il genitore facesse dipendere l’alzarsi o meno dal letto per accudire il piccolo da quello che sente o meno staremmo freschi. L’amore è alzarsi comunque. Al netto di quello che sentiamo o non sentiamo. Si parla in questi casi di amore incondizionato. Ossia, ti amo a prescindere da quello che sento e da come mi sento. Lo faccio e basta.

Un ultimo esempio. Vi è mai capitato di vedere una coppia di anziani in cui uno dei due è sulla carrozzina che viene spinta dall’altro? E avete mai fatto caso alle espressioni del viso di chi spinge la carrozzina? Sicuramente avrete notato che c’è poco di romantico o di erotico in quella scena. Eppure vi trovate davanti a una forma tra le più pure di amore. Il servizio per l’altro. L’amore vero implica un distacco da sé. Dimenticarsi di sé per correre incontro all’altro. E, badate bene, non sempre l’amore è reciprocità. Quello è commercio. Do ut des. L’amore puro è quello di chi non si aspetta nulla in cambio. Come il genitore col neonato. O come nell’esempio della coppia di anziani. Amore è perdere. Sapersi decentrare, per l’altro.

Le patologie dell’amore

La paura di amare e di essere amati si declina in diverse sfumature. Di certo, una tra le più famose è l’amore narcisistico. Se ne fa un così gran parlare oggi che toccare l’argomento è ridondante.

Ma ne esistono delle altre, meno note ma altrettanto tossiche, che vorrei esplorare.

La prima è il breadcrumbing. Il breadcrumbing è un modo di relazionarsi all’altro sempre ambiguo, mai chiaro, caratterizzato da segnali incerti, indecisi, persino contrastanti. Vi faccio un esempio. E’ la classica persona che inizia a flirtare con voi ma che resta sempre un passo indietro rispetto all’evoluzione della relazione. Vi da un bacio, ma poi scompare. Ricompare con un messaggio ma si ritira presto indietro. In poche parole, da attenzioni a intermittenza. Non taglia mai i ponti. Ma non porta mai la relazione a un livello successivo, adeguato agli sviluppi della stessa. Il breadcrumber fa un passo avanti e due indietro. Poi quattro avanti e tre indietro. E lascia l’altra persona spesso confusa o addirittura paralizzata. Ovviamente qui non stiamo parlando di una sana cautela che dovrebbe caratterizzare ogni inizio di relazione. Quanto, piuttosto di una modalità di dare attenzioni a intermittenza. I motivi? Ce ne sono diversi. Ma il più comune è il seguente. Voi non interessate alla persona. Ma ella comunque vi tiene all’amo -in un gioco sadico- per puro autocompiacimento (in fondo a chi non fa piacere ricevere le attenzioni e i complimenti dell’altro?). E’ il gatto che giochicchia col topo ma non lo uccide. Una vera e propria agonia per chi fa il topo.

La seconda patologia dell’amore è l’orbiting. Proprio come i pianeti descrivono un’ellisse attorno alla stella attorno alla quale ruotano, così chi fa orbiting alterna periodi di estrema vicinanza affettiva a periodi di allontanamento, per poi ritornare. Proprio in quest’ultima accezione, l’orbiting si differenzia dal ghosting. Nel ghosting, infatti, anch’essa una patologia dell’amore, la persona, dopo un periodo di corteggiamento o addirittura di relazione, sparisce nel nulla, senza offrire giustificazioni o spiegazioni.

Cos’hanno in comune queste persone? Tendono a soddisfare il proprio ego senza curarsi dei vostri sentimenti.

Il rimedio?

Starne alla larga. Punto. Non cercate di “curare” l’altro. Non illudetevi che possa cambiare. Voi fate la vostra partita. Lanciatevi pure in un inizio di conoscenza. Ma siate pronti, anzi prontissimi, a cogliere i segnali già dalle prime battute. Anche perché più passa il tempo più è facile abituarsi all’amore malato dell’altro. Voi meritate altro. Meritate un amore puro, sincero. Non sporcatevi le mani con relazioni tiepide e sciape. Su la testa. Avete una dignità da difendere. Né dovete fingere di essere chi non siete per meritare le attenzioni o i sentimenti altrui. Chi ci tiene a voi, vi vorrà bene per come siete. Per chi siete. E ricordate: le attenzioni non si elemosinano. Figuriamoci i sentimenti.