Lettera a un paziente traumatizzato
È passato qualche giorno da quando, durante la nostra prima seduta di psicoterapia, mi hai raccontato delle violenze, fisiche e psicologiche, subite in famiglia per tanti, troppi anni.
Sei cresciuto con il peso di esperienze che avrebbero potuto schiacciarti, se solo fossi stato più debole. So che hai imparato troppo presto a proteggerti, a nasconderti, a sopravvivere. So che le mani che avrebbero dovuto accarezzare sono diventate artigli, e le parole che avrebbero dovuto confortare sono diventate armi.
La ferita che porti non è immaginaria. Il trauma non è soltanto un’etichetta diagnostica , ma un linguaggio silenzioso che il tuo corpo e la tua mente parlano ogni giorno, anche quando nessuno ascolta.
Voglio dirti, innanzitutto, che ti credo.
Ti credo quando mi dici che ancora oggi non riesci a fidarti.
Ti credo quando mi racconti degli incubi, dell’ansia costante, del vuoto che si apre all’improvviso dentro di te.
Ti credo quando mi confessi che a volte provi vergogna , anche se a vergognarsi dovrebbero essere i tuoi.
Non sei nato per essere spezzato. Sei stato colpito da chi aveva il compito sacro di proteggerti. Ed è ingiusto. Profondamente ingiusto.
Ma in mezzo a questa ingiustizia, tu (r)esisti ancora.
E nonostante tutto, stai cercando la verità. La giustizia. La pace.
C’è un passo che forse hai sentito o letto di sfuggita:
“Beati gli affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.”
Tu sei uno di loro.
Tu sei tra coloro che, pur feriti, non si sono arresi al silenzio.
Tu sei tra coloro che, pur colpiti, ancora cercano senso, dignità, riscatto.
E c’è una promessa, in quelle parole: sarai saziato.
Ma cosa significa essere saziati di giustizia?
Forse non potrai mai vedere i tuoi genitori riconoscere il male che ti hanno fatto. Forse non arriveranno mai scuse. Forse non ci sarà un tribunale che potrà riparare tutto ciò che è stato distrutto.
Ma la giustizia può assumere forme profonde e silenziose.
La giustizia è ogni volta che scegli di curarti, anche quando sarebbe più facile cedere.
È quando riconosci che non eri tu il problema.
È quando ti concedi di sentire rabbia e dolore, senza più vergogna.
È quando impari a dire “no” e a proteggerti oggi come nessuno ha fatto ieri.
È quando ti permetti di piangere quel bambino, non per pietà, ma per amore.
E sì, anche la giustizia è un processo.
Non è qualcosa che arriva una volta per tutte. È un cammino fatto di verità, di compassione, di ripetute scelte di vita, anche nella stanchezza.
La tua fame e sete di giustizia sono nobili. Non sono debolezze, ma segnali di un cuore che ancora sa distinguere il bene dal male, che ancora spera, che ancora cerca.
Forse non lo sai, ma tu sei un testimone.
Il tuo dolore ha una voce.
E ogni passo che fai verso la tua guarigione è anche un atto di giustizia per altri come te.
Ogni volta che spezzi il silenzio, apri una strada.
Ogni volta che ti rifiuti di odiare te stesso, ricostruisci qualcosa che il trauma aveva rubato.
Non sei solo.
Anche se a volte ti senti in un deserto emotivo, c’è una moltitudine invisibile che cammina con te. Altri sopravvissuti. Altri affamati e assetati di giustizia. Altri che portano cicatrici simili.
E ci sono anche quelli che, come me, hanno scelto di stare accanto a chi ha sofferto.
Il mio compito non è guarirti – perché la guarigione non può essere imposta – ma camminare con te. Ascoltare, contenere, riflettere. A volte sarò un faro, a volte solo un silenzioso compagno di strada. Ma non ti lascerò solo nella notte.
Hai già fatto tanto. Davvero tanto.
Sei sopravvissuto.
Hai parlato.
Hai iniziato a cercare.
Forse dentro di te vive ancora quel bambino impaurito, rannicchiato nell’angolo di una stanza o del cuore, ma oggi quel bambino ha te. Te adulto. Te che stai imparando a guardarlo senza colpa, senza disprezzo.
Quel bambino aspetta da tutta la vita qualcuno che dica:
“Non era colpa tua.”
E io te lo dico ora: Non era colpa tua.
Tu meritavi amore, carezze, parole buone.
Tu avevi diritto alla sicurezza, alla libertà, al rispetto.
Ti è stato negato tutto questo, ma oggi puoi cominciare a riprendertelo.
Sì, la strada è lunga.
Sì, ci saranno giorni in cui ti sentirai affondare di nuovo.
Ma ogni volta che scegli la verità – la tua verità – stai già guarendo.
E guarire non significa dimenticare. Non significa che il passato smette di esistere.
Significa che non sei più solo lì dentro.
Significa che il dolore non ha più l’ultima parola.
C’è una dignità che nessun trauma può annullare.
C’è un valore in te che nemmeno gli abusi più crudeli hanno potuto cancellare.
E io lo vedo.
Nel tuo sforzo quotidiano.
Nel tuo coraggio silenzioso.
Nel tuo desiderio di giustizia, che è anche desiderio di verità e di vita.
“Beati gli affamati e assetati di giustizia, perché saranno saziati.”
Non è solo una promessa spirituale. È una realtà che, giorno dopo giorno, prende forma nella tua esistenza, nei tuoi gesti, nei tuoi silenzi, nei tuoi piccoli atti di cura.
Sii paziente con te stesso.
Sii tenero con quel bambino dentro di te.
Continua a camminare.
E ricordati: non sei solo. Non più.
Con profonda stima e rispetto,
Il tuo psicoterapeuta
Dr.Giuseppe Iannone