Come imparare a non ferire chi amiamo

Non serve capire tutto per smettere di ferire. Sembra una frase scontata ma non lo è per tutti. Nelle relazioni umane spesso crediamo che per evitare la sofferenza dell’altro sia necessario capire fino in fondo il perché di ciò che prova. Ci convinciamo che solo comprendendo le sue motivazioni, le sue ferite o la sua storia potremo smettere di ferirlo. 

Perché non devi capire tutto per essere una persona empatica

La mente ama le spiegazioni. Quando qualcosa non va, quando l’altro si chiude o si irrita, il primo impulso è chiedere: “Ma perché? Cosa ho detto di sbagliato?”.
Questa domanda nasce dal bisogno di controllo, non da quello di connessione.
Eppure, nella relazione terapeutica come in ogni incontro autentico, non serve capire il dolore dell’altro per smettere di ferirlo. Basta riconoscere che c’è. Il rispetto non nasce dalla conoscenza razionale, ma dalla capacità di fermarsi, di sospendere il gesto o la parola che ha provocato disagio.

Non è necessario sapere perché l’altro soffre, o quali traumi lo rendano sensibile a certi temi: è sufficiente vedere il segnale del dolore e non insistere.

Questo atteggiamento ha un grande valore terapeutico. Chi è abituato a difendersi e a giustificarsi, non sa che la relazione cresce proprio quando inizia ad ascoltare invece di analizzare. 
Analizzare o ascoltare? 

In terapia, molti pazienti arrivano con la convinzione che ogni emozione negativa debba essere spiegata, decifrata, resa razionale. Ma l’ascolto autentico non analizza, accoglie. Questo vale anche nelle relazioni: se una persona a noi cara ci dice che qualcosa che abbiamo detto o fatto le ha fatto male, non dobbiamo per forza comprendere il perché. È sufficiente fidarsi del suo sentire e mostrare disponibilità a non ripetere quel comportamento. Smettere di chiedere “perché soffri? Ma cosa ho detto di strano?” e iniziare a dire: “Vedo che soffri, mi fermo qui” è un passaggio evolutivo importante. Significa abbandonare l’ego che vuole avere ragione, e scegliere invece la connessione che vuole la pace.

Non sempre la cura dipende dalla comprensione

Ancora oggi non conosciamo perché gli SSRI siano farmaci efficaci per la cura di ansia e depressione. Eppure li prescriviamo. E chi li assume sta meglio.  Anche nella relazione terapeutica, come in ogni relazione umana, la cura non dipende dalla comprensione totale. Capire può richiedere tempo, parole, storia. Ma la cura può cominciare subito, nel momento in cui una persona si sente rispettata. Molte sofferenze relazionali nascono da questo punto cieco: l’incapacità di smettere. Quando l’altro dice che qualcosa gli fa male, spesso continuiamo a spiegare, a difenderci, a dire che non era nostra intenzione. Ma ogni spiegazione diventa, in quel momento, una nuova ferita.

Sai rispettare i limiti dell’altro? 

Se il tuo gesto pesa sul cuore dell’altro, posalo. Non serve sapere quanto pesa.”
Questo principio è un toccasana per le relazioni. Rispettare i limiti dell’altro non è segno di debolezza o di sottomissione, ma di equilibrio interiore. La vera forza relazionale è la capacità di fermarsi prima di ferire, anche senza capire del tutto perché quel gesto o quella parola creano dolore. In terapia questo diventa un esercizio costante: imparare a riconoscere i segnali del disagio e scegliere consapevolmente di non insistere.

La mente vuole capire, la compassione vuole alleviare

Ma te la immagini questa scena? Pronto soccorso, una persona cardiopatica ha bisogno di un intervento immediato. I sintomi sono chiari, la diagnosi è certa. E i medici stanno lì, a disquisire sui tassi di prevalenza della malattia, sulla prognosi della stessa, ecc. invece di mettersi subito a curare la persona. In psicoterapia molte persone scoprono con sorpresa che la loro crescita non passa dal capire “perché” provano certe emozioni, ma dall’imparare a restare con esse senza reagire. Allo stesso modo, imparano che non serve capire il dolore altrui per rispettarlo: basta riconoscerlo.

 

Smettila di difenderti e comincia a proteggere

Spesso, quando qualcuno ci dice che è rimasto ferito, reagiamo difendendoci:
“Non volevo”, “Hai frainteso”, “Non è così grave”. E ogni difesa alza un muro da entrambe le parti.  Ma solo quando smettiamo di giustificarci, iniziamo davvero a prenderci cura dell’altro. 

Amare non è capire tutto ma non ferire inutilmente

Non serve sapere cosa hai fatto male, è abbastanza sapere che hai fatto male
Questa frase racchiude un principio di responsabilità emotiva. Non occorre comprendere perfettamente il meccanismo che ha generato la sofferenza per poter chiedere scusa o modificare il proprio comportamento.
Basta accorgersi che l’altro è ferito e agire con rispetto. In terapia questo si traduce in un’abilità fondamentale: riconoscere l’impatto delle proprie azioni indipendentemente dalle intenzioni. Questo non genera colpa, ma consapevolezza. È un modo per vivere le relazioni con più autenticità e meno in difesa. Certo, ogni persona desidera essere capita, ma non può pretendere di esserlo sempre. La maturità relazionale nasce nel momento in cui smettiamo di imporre all’altro di capirci. Non tutti i sentimenti sono spiegabili, non tutti i dolori hanno un perché logico. Nel contesto terapeutico, questo significa accettare la diversità, la fragilità, il limite dell’altro: la sua sensibilità, i suoi confini, la sua modalità di percepire il mondo. Significa accorgersi che l’altro è altro da me. Ma che posso amarlo (o almeno non causargli dolore) anche senza comprendere perché qualcosa gli genera sofferenza.