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Quali sono gli effetti del trauma sulla salute mentale?

Un trauma può avere profondi effetti sulla salute mentale, influenzando in modo significativo il benessere psicologico di un individuo. Questi effetti possono manifestarsi in una serie di disturbi e sintomi, con conseguenze a lungo termine sul funzionamento emotivo e cognitivo.

Che cos’è un trauma?

In psicologia, il termine “trauma” si riferisce a un evento o a una serie di eventi estremamente stressanti o dannosi che possono avere conseguenze durature sulla salute mentale di un individuo. Questi eventi spesso superano la capacità di gestione emotiva e possono includere situazioni come abusi, violenze, incidenti gravi, o eventi catastrofici. Il trauma può manifestarsi attraverso una varietà di risposte psicologiche, influenzando il benessere emotivo, cognitivo e comportamentale della persona colpita.

Quali sono effetti del trauma sulla salute mentale?

Uno degli impatti più comuni del trauma è lo sviluppo del disturbo da stress post-traumatico (PTSD). Le persone che hanno vissuto esperienze traumatiche possono sperimentare flashback, incubi, ipervigilanza e ansia cronica , tutti sintomi che influenzano negativamente la qualità della vita. Il PTSD può limitare le capacità di funzionamento quotidiano e creare un costante senso di pericolo.

Inoltre, il trauma può contribuire allo sviluppo di disturbi d’ansia e depressione. Le persone che hanno vissuto situazioni traumatiche possono sviluppare una percezione distorta del mondo, in cui la fiducia negli altri e la sicurezza personale sono compromesse. Questo può portare a un aumento dell’isolamento sociale e a un declino della qualità delle relazioni interpersonali.

La dipendenza da sostanze è un’altra conseguenza comune del trauma. Molte persone cercano nel consumo di droghe o alcol un modo per alleviare il dolore emotivo associato al trauma. Tuttavia, questa forma di automedicazione può portare a dipendenze dannose, aggravando ulteriormente i problemi di salute mentale.

I cambiamenti nel funzionamento cognitivo sono anche osservabili in individui che hanno subito traumi significativi. La capacità di concentrazione può essere compromessa, con difficoltà a mantenere l’attenzione su compiti specifici. La memoria può essere influenzata, con alcuni individui che lottano per ricordare dettagli specifici dell’evento traumatico o soffrono di amnesia dissociativa.

Le relazioni interpersonali possono essere fortemente colpite dal trauma. Le persone che hanno subito esperienze traumatiche possono fare fatica a fidarsi degli altri o a temere il tradimento, l’abbandono o il rifiuto. Ciò può portare all’isolamento sociale e a una maggiore difficoltà nel costruire connessioni significative con gli altri.

La gestione delle emozioni diventa una sfida per coloro che hanno vissuto traumi significativi. Alcuni possono sperimentare una varietà di emozioni intense e fluttuanti, mentre altri potrebbero avere difficoltà a riconoscere o esprimere le proprie emozioni. Ciò può portare a una serie di problemi nella gestione dello stress e delle situazioni difficili.

È importante sottolineare che gli effetti del trauma sulla salute mentale possono variare notevolmente da persona a persona. Mentre alcuni individui possono sviluppare disturbi specifici, altri potrebbero mostrare una maggiore resilienza e adattabilità. L’accesso a un adeguato supporto psicologico, come la psicoterapia dell’esposizione, può giocare un ruolo cruciale nel favorire la guarigione e mitigare gli impatti a lungo termine del trauma sulla salute mentale.

In sintesi, il trauma può avere effetti significativi sulla salute mentale, influenzando diversi aspetti della vita emotiva, cognitiva e relazionale di un individuo. La consapevolezza sulle conseguenze del trauma sulla salute mentale è essenziale per sviluppare strategie di intervento mirate e fornire il supporto necessario per promuovere la guarigione e il benessere psicologico.


panico e solitudine

Attacco di panico o attacco di solitudine?

Le teorie psicologiche classiche considerano l´attacco di panico come una risposta di paura intensa, esagerata, incontrollata e inappropriata. Secondo queste teorie la paura scaturirebbe dall´attivazione dell´amigdala e di altre aree cerebrali che regolano l´emozione della paura. Di conseguenza, gli approcci psicoterapeutici che prendono le mosse da questa teoria (specialmente la psicoterapia cognitivo comportamentale) hanno per obiettivo la riduzione dello stato di paura del paziente. Esercizi di desensibilizzazione, di esposizione, la disputa dei pensieri disfunzionali ecc., sono tra i principali compiti e tecniche che si offrono al paziente nel tentativo di ridurre la sintomatologia. Alcune teorie fenomenologichguardano invece a certe forme di attacco di panico come attacco di solitudine.

La brutta notizia

La brutta notizia, però, è che spesso tali interventi non danno risultati duraturi. Inoltre, sappiamo anche che i farmaci come le benzodiazepine hanno uno scarso effetto sull´incidenza del panico. Invece, gli SSRI (una classe di antidepressivi) sono considerati i farmaci di elezione per combattere il panico.

Una nuova teoria sul panico

La teoria fenomenologica offre una nuova visione sul concetto di panico. Secondo questa teoria, il panico non sarebbe tanto (o soltanto) un attacco di paura intensa, esagerata, incontrollata e inappropriata. Invece, il panico è l´esperienza che si fa quando ci troviamo esposti a situazioni che percepiamo come potenzialmente incontrollabili e contemporaneamente sentiamo di non avere nessuno su cui poter contare. Attacco di panico o attacco di solitudine, quindi?

A corroborare questa visione del panico concorrono alcuni dati provenienti dalla ricerca. Innanzitutto, uno dei sintomi del panico è la fame d´aria. Ebbene, la fame d´aria occorre raramente in situazioni di paura acuta, generata da un evento esterno. Inoltre, a differenza della paura, durante un attacco di panico non assistiamo all´attivazione del sistema HPA. Il sistema HPA regola la risposta allo stress. Questo sistema sembra essere addirittura inibito dal panico. La tachicardia e le altre forme di attivazione fisiologica durante un attacco di panico sono invece prodotte da una soppressione vagale (parasimpatica) piuttosto che da un´attivazione simpatica.

Inoltre, durante un attacco di panico, l´esperienza principale è quella di stare per morire o impazzire. La paura arriverebbe soltanto in un secondo momento. E riguarda, in genere, la preoccupazione che un attacco di panico possa ripetersi. Oppure che si abbia qualche malattia. O che si possa impazzire. Secondo questa visione, la paura sarebbe quindi secondaria e successiva all´attacco di panico (sicuramente almeno al primo attacco di panico, aggiungerei io). Infatti, è solo dopo il primo attacco di panico che la persona di solito inizia a vivere in uno stato di forte angoscia, ansia anticipatoria e sviluppa una paura dei sintomi del panico!

Panico e difficoltà a riconoscere le emozioni

Dopo il primo attacco di panico la persona di solito inizia un ossessiva quanto eccessiva autoosservazione. Perché? Per intercettare e controllare ogni minima variazione corporea che possa somigliare all´esperienza di panico. Ma così facendo, la persona non presta attenzione agli elementi contestuali nei quali i sintomi possono emergere. Non di rado chi soffre di panico soffra anche di alessitimia.

alessitimia (dal greco a- «mancanza», lexis «parola» e thymos «emozione» dunque: «mancanza di parole per [esprimere] emozioni») è un costrutto psicologico noto anche come analfabetismo emotivo che descrive una condizione di ridotta consapevolezza emotiva. L´alessitimia comporta l’incapacità sia di riconoscere sia di descrivere verbalmente i propri stati emotivi e quelli altrui. Le persone che soffrono di panico non sono né inclini né capaci di chiedere aiuto. Sono spesso diffidenti. Non sanno riconoscere ed esprimere le loro necessità affettive.

Non stupisce che il panico si manifesti proprio in situazioni in cui la persona sta attraversando un passaggio importante della sua vita. La laurea, il matrimonio, un trasloco, un cambio lavorativo, difficoltà relazionali o economiche, la morte di un caro, la fine (ma anche l´inizio!) di una relazione affettiva. Cos´hanno in comune queste situazioni? La persona si sente maggiormente esposta al mondo, un mondo nuovo, spesso sconosciuto, in cui il contesto relazionale non funge più da sponda per contenere la piena che sta per investire la vita della persona.

In poche parole, ci si sente soli in balìa del mondo. Proprio come un bambino che, al supermercato, improvvisamente si accorge di essersi perso e non trova più i suoi genitori.

Panico e agorafobia

L´agorafobia è forse la situazione che meglio incarna questa sensazione. La paura di trovarsi in spazi aperti diviene metafora del trovarsi esposti a un mondo senza la necessaria mediazione affettiva. Non stupisce, quindi, che chi soffre di panico e di agorafobia, abbia bisogno di una persona che stia con lui/lei proprio per non sentirsi soli in balìa del mondo.

Panico e claustrofobia

Anche il timore di sentirsi costretti in una situazione può elicitare un attacco di panico. Da un lato, come abbiamo visto, chi soffre di panico tende a ricercare la vicinanza e il contatto con l´altro per non sentirsi solo al mondo. Dall´altro, però, l´eccessiva vicinanza dell´altro viene vissuta come asfissiante. Una relazione che sta per sfociare in una convivenza o un matrimonio, le imposizioni sul lavoro, ecc. sono situazioni emblematiche nelle quali chi soffre di panico fatica a trovarsi.

Panico o ansia da separazione?

In virtù di quanto sopra esposto alcune correnti fenomenologiche, di stampo gestaltico, guardano al panico come a un sottotipo di ansia da separazione piuttosto che a una paura generica. Nello specifico, il panico viene considerato un attacco acuto di solitudine.

Panico, depersonalizzazione e derealizzazione

La depersonalizzazione e la derealizzazione sono sintomi dissociativi molto comuni in chi soffre di panico. Come dicevamo, chi soffre di questo disturbo tende a non riconoscere le proprie emozioni (né tantomeno i contesti nei quali queste si generano). Né a riconoscere la causa psicologica e sociale dei sintomi, ai quali invece imputa una causa somatica. Svuotata dalla componente psicologica, l´esperienza di separazione, caratterizzata da angoscia e smarrimento, assume le sembianze della depersonalizzazione e della derealizzazione. Le sembianze di un corpo-organismo che soffre, patisce e non di un corpo-vivo in una situazione “scomoda”. Esperienze traumatiche in età infantile sembrano giocare un ruolo nella manifestazione, in età adulta, di depersonalizzazione e derealizzazione.

Eterogeneità del panico e implicazioni cliniche per una buona psicoterapia

Il panico è un disturbo mentale complesso e multisfaccettato. È caratterizzato da un insieme di sintomi (ben 13!) che si combinano in maniera diversa in diversi individui. Non esiste e non può esistere una psicoterapia valida per ogni caso di panico (così come di nessun altro disturbo mentale). In primis perché comunque si ha davanti a sé, ogni volta, una persona diversa. In secundis perché la combinazione dei 13 sintomi del panico varia sia tra persone diverse che nella stessa persona.

La psicoterapia deve tener conto della specificità di ciascun caso e farsi personalizzata e cucita su misura su ciascun individuo. Attraverso la relazione terapeutica la persona che soffre di panico ricomincia a ritornare gradualmente in sintonia con i propri stati emotivi. E impara a riconoscere i contesti comodi da quelli scomodi. Uno dei miei scopi nella terapia del panico è permettere alla persona di accorgersi delle loro emozioni e necessità che spesso sono state misconosciute per troppo tempo. La relazione terapeutica infine può fungere da contesto che aiuta la persona a sì muoversi verso l’indipendenza e all´autonomia. Senza sentirsi sopraffatto dal mondo e senza dover necessariamente rinunciare all’altro.

trauma e resilienza

Trauma e resilienza: la crisi come opportunità di crescita

Essere esposti ad eventi avversi che mettono in pericolo la nostra vita si accompagna spesso a disagio psicologico. Se sono noti gli effetti negativi del trauma, in pochi sanno che alcune persone possono andare incontro a un processo di vera e propria crescita post-traumatica.

Cosa succede dopo un trauma?

La parola trauma deriva dal greco e significa ferita. Nella nostra lingua la utilizziamo sia per indicare le ferite del corpo (per es., un trauma osseo o lacero-contuso), sia per quelle psicologiche.
Eventi avversi come incidenti e catastrofi possono danneggiare la salute fisica ma anche dare origine a diverse forme di malessere psicologico.
Il disagio psicologico connesso al rischio di morire, alla perdita di beni, al lutto per i propri cari, può richiedere spesso trattamenti psicoterapici e farmacologici. Nelle situazioni più gravi, infatti, la persona può sperimentare una forte sofferenza psicologica. I disturbi dell’adattamento alle nuove condizioni di vita post-trauma sono molto comuni. Ma sono altrettanto frequenti i disturbi acuti da stress.

Fenomenologia del trauma

Con le dovute differenze da caso a caso, la persona può sperimentare uno stato di allarme e tensione che le impedisce di vivere normalmente. Il sonno può essere disturbato. Anche da svegli, però, i ricordi dell’evento possono interferire con le attività consuete. L’umore può essere irritabile o depresso e non raramente si avverte ansia.
Quelli appena descritti sono gli esiti più conosciuti connessi all’esperienza del trauma. Meno noti sono gli effetti positivi che si verificano in diversi casi a seguito di un evento avverso. Per descriverli si utilizza un’espressione specifica, crescita post-traumatica.
In effetti, circa il 70% delle persone sopravvissute ad eventi traumatici riportano cambiamenti psicologici positivi. Si tratta di una percentuale molto elevata che rende conto di un processo di sviluppo che può essere spiegato considerando il ruolo della sofferenza. Il dolore, infatti, costringe i sopravvissuti a ricercare e costruire nuovi significati in un processo di cambiamento dagli esiti spesso sorprendenti.

Cosa si intende per crescita post-traumatica?

È soprattutto grazie alla diffusione della psicologia positiva che si è cominciato a parlare delle possibilità di sviluppo attivate dai traumi.
Le ricerche internazionali sull’argomento si sono diffuse negli ultimi venti anni. Numerosi studiosi hanno cominciato ad interessarsi delle storie positive e dei successi conseguenti a eventi di vita traumatici. Questi studi hanno bene evidenziato che, se l’evento traumatico può destabilizzare completamente la persona e devastarla psicologicamente, può anche spingerla a rifiorire.
È in questo modo che è stato sviluppato il concetto di crescita post-traumatica, riferendosi alla tendenza a riportare cambiamenti positivi a seguito di un trauma.

Le 3 aree della crescita post-traumatica

La crescita post-traumatica riguarda in genere tre diverse aree: la percezione di sé, le relazioni interpersonali e la propria filosofia di vita. Meno frequenti sono i cambiamenti religiosi o spirituali o quelli che riguardano la scoperta di nuove possibilità sul proprio percorso.

Rispetto alla percezione di sé, molte persone segnate da traumi arrivano a una rappresentazione di loro stessi come sopravvissuti. In tal senso, sentirsi un survivor è molto diverso che percepirsi come la vittima di una disgrazia. Il sopravvissuto, infatti, sarà maggiormente consapevole delle proprie risorse e del fatto di avercela fatta. Allo stesso modo, migliore sarà anche la consapevolezza delle proprie fragilità, fattore che aumenta le probabilità che possa rivolgersi agli altri per riceverne l’aiuto necessario.

Si tratta di aspetti strettamente connessi anche ai cambiamenti relativi alle relazioni con gli altri. Maggiore profondità relazionale ed empatia, migliore capacità di esprimere le emozioni, altruismo e compassione sono tra gli esiti più comuni.
Rispetto alla filosofia di vita, invece, il trauma sembra aiutare le persone ad apprezzare maggiormente il tempo, spingendole a vivere più intensamente. Le persone che vanno incontro a crescita post-traumatica, quindi, riescono a dare un nuovo significato agli eventi avversi o al dolore ad essi connesso.

Quali fattori promuovono la crescita post-traumatica?

La probabilità di andare incontro ad una crescita post-traumatica dipende in buona parte dalla condizione psicologica pre-trauma. Nonostante ciò, è opportuno precisare che anche una persona già sofferente può mostrare una crescita post-traumatica. In parte, questa possibilità è dovuta al fatto che chi ha fatto esperienza difficoltà psicologiche in passato possiede strategie di fronteggiamento. Allo stesso modo, comunque, non bisogna trascurare che la condizione di salute mentale pregressa possa porre un freno alla crescita post-traumatica. Persone con uno stato di salute mentale pre-trauma migliore, cioè, mostrano in genere una maggiore crescita di quelle che avevano problemi precedenti.

Trauma e personalità

Numerosi studi, inoltre, hanno messo in relazione la crescita post-traumatica con alcune caratteristiche di personalità.
In primo luogo, le persone propense all’ottimismo e alla speranza sono in genere più pronte ad adottare risposte flessibili a seguito di eventi avversi. Fanno più facilmente progetti e piani, individuando obiettivi e strategie attive. In secondo luogo, anche le persone capaci di tollerare incertezza e ambiguità sono portate ad affrontare il trauma in maniera creativa. Infine, uno stile cognitivo aperto e complesso consente di vedere i problemi da nuove prospettive e creare nuove connessioni tra eventi.

Quali sono le relazioni tra intervento psicologico e crescita post-traumatica?

In caso di traumi rivolgersi a un professionista della salute mentale può essere utile se si sta vivendo una condizione di malessere. Il livello di sofferenza provato dalla persona, infatti, può comprometterne la sua qualità di vita rendendo necessario un trattamento.
Anche laddove la persona ritenga gestibile la sua sofferenza, comunque, lo psicologo può giocare un ruolo nella promozione del benessere della persona.In questo caso, per esempio, l’intervento potrà maggiormente essere orientato alla mobilitazione delle risorse psicologiche ed all’attivazione di resilienza.

È in questo tipo di intervento che si possono facilitare anche i processi di crescita post-traumatica attraverso un percorso di supporto allo sviluppo.
Nel dettaglio, la persona potrà essere supportata nell’acquisire consapevolezza sull’importanza di cambiare schemi di pensiero ed azione, costruendo nuovi significati intorno alla vita.
Si tratta di un passaggio fondamentale che può essere facilitato dalla rifigurazione della crisi come momento che comporta rischi ma anche di nuove possibilità d´azione.

Riferimenti bibliografici
Prati, G. & Pietrantoni, L. (2006). Crescita post-traumatica: un’opportunità dopo il trauma? Psicoterapia Cognitiva e comportamentale, 12, 2: 133-144.