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Paura di amare. La philofobia

La philofobia è una fobia specifica che accomuna tutte le persone che fanno fatica ad innamorarsi e ad abbandonarsi a una relazione. Come riconoscerla e cosa fare per superarla?

Che cosa è la philofobia?

Philofobia è una parola composta che deriva dall’unione di due parole greche: “philo”, che significa amore, e “phobos”, che vuol dire paura.
La philofobia, quindi, è la paura di amare, una fobia specifica che accomuna le persone che scappano dagli impegni sentimentali e dalle situazioni amorose.
Le persone philofobiche sono reticenti ad entrare in intimità con un possibile partner e provano ad evitare le situazioni ad alto coinvolgimento emotivo.
Non solo sperimentano una forte paura di amare. Ma, spesso, trovano difficile anche lasciarsi amare dal partner. In chi soffre di philofobia, infatti, l’idea di legami amorosi durevoli può scatenare una vera e propria angoscia. Questo avvviene perché il legame di amore viene vissuto come pericoloso, costringente, limitante. Di qui la necessità di evitare le relazioni amorose. Per loro, in effetti, può essere una sofferenza non riuscire a gioire del benessere che può dare un rapporto di coppia.

Paura di amare o forse c´è altro?

Si tratta di un elemento importante da sottolineare se è vero che, nel quadro di disturbi diversi, la persona può non essere minimamente interessata a una relazione sentimentale, non ricercandola. È questo il caso del disturbo schizoide di personalità, quadro in cui la persona non prova interesse nello sviluppare delle relazioni amicali e/o intime. Il non avere un partner, però, in quel caso, non costituisce un problema per la persona schizoide.
Anche chi soffre di philofobia può non essere particolarmente angosciato per la mancanza di una relazione amorosa e non pensare di avere un problema. È però da capire se in simili situazioni la paura dell’amore possa essere così forte da essere all’origine di un massiccio evitamento. In simili situazioni, infatti, la persona si manterrebbe al sicuro non creando nessuna occasione di intimità.

Perché si ha paura di amare?

La philofobia sembra essere destinata a diventare sempre più frequente. Al momento, riguarda circa il 10% delle persone. Le cause di questo disturbo e dell’aumento della sua frequenza possono essere ricercate sia nelle caratteristiche della nostra società, sia nelle storie individuali e/o familiari.
Da una parte, per citare Bauman, viviamo in un’epoca di relazioni sempre più liquide che rendono difficile l’instaurarsi e la ricerca di relazioni intime stabili. Dall’altro, sembra importante rilevare che molte persone philofobiche hanno sperimentato insoddisfacenti relazioni interpersonali. Se ripetute esperienze amorose fallimentari possono scoraggiare la volontà di iniziare nuove storie, nella philofobia un ruolo importante sembra essere giocato dalle relazioni infantili.
Molte persone che trovano difficile fidarsi e affidarsi a un partner e a una relazione d’amore, infatti, hanno vissuto esperienze negative con i propri caregiver. Genitori poco sintonizzati che non hanno espresso vicinanza in caso di bisogno o sofferenza possono aver comunicato al bambino di non essere meritevole di amore. Lo stesso può essere avvenuto di fronte a un caregiver imprevedibile e disattento. O infine nelle situazioni in cui l’amore e le cure sono stati rinfacciati.
Si tratta di esperienze comuni nell’infanzia di molti bambini, importanti perché incidono sulla qualità delle relazioni infantili, ma anche adulte.

La philofobia è un disturbo?

Attualmente la philofobia non è ancora considerata un vero e proprio disturbo psicopatologico. Per questa ragione, non è stata inserita nella quinta edizione di uno dei manuali diagnostici più usati a livello mondiale, il DSM (APA, 2013). Il manuale, comunque, comprende e descrive la categoria cui appartiene la philofobia, quella delle fobie specifiche.
Si tratta di problematiche che rientrano tra i disturbi di ansia e che possono essere descritte come paure persistenti e irrazionali legate a specifici stimoli.
Le fobie specifiche possono essere attivate da situazioni, oggetti, attività, animali, colori, suoni, ecc. L’elenco potrebbe continuare all’infinito, se è vero che ciascuno di noi può vivere come fobico qualsiasi tipo di attività, stimolo o circostanza. In questi casi, la persona evita attivamente la situazione fobica o la affronta con ansia. Ciò significa che può sperimentare alcuni sintomi quali, senso di soffocamento, tachicardia, sudorazione, nausea, vertigini, disturbi gastro-intestinali.

All´origine di questo può esserci proprio il desiderio di non sperimentare sensazioni e sintomi sgradevoli all’origine dell’evitamento delle situazioni fobiche. Da qui, i tentativi di sottrarsi a proposte e occasioni di incontro. Ma a lungo andarela situazione può diventare insostenibile e spingere la persona a ricercare un aiuto.

Philofobia o autonomia?

Se è vero che chi soffre di philofobia fugge dall’amore, ci possono essere casi in cui si riesce comunque ad avere una relazione. In simili circostanze, chi soffre di philofobia può essere sfuggente, fare richieste di maggiore autonomia al partner, riferire insicurezza sulla relazione o sentirsi oppresso dalla relazione.
Un caso ancora diverso è quello della cosiddetta philofobia latente. Molti philofobici, cioè, riescono a mantenere delle relazioni di coppia mostrando un certo adattamento rispetto alla situazione di amore e intimità. Ciò non esclude che, in specifiche situazioni, possano emergere comportamenti e sintomi philofobici, attivati esclusivamente da incontri in grado di scatenare amore e interesse autentici.

La psicoterapia può aiutare a superare la philofobia?

In caso di philofobia è possibile rivolgersi a un professionista della salute mentale al fine di riceverne l’aiuto necessario a superare il problema.
Al pari delle altre fobie, infatti, anche la philofobia può comportare malessere, suscitando ansia e ponendo molte limitazioni alle persone e ai loro cari.
In simili situazioni, lo psicoterapeuta facilita un processo di maggiore consapevolezza sul problema, attivando le risorse della persona e aiutandola a trovare modalità di relazione più funzionali.
Nel caso della philofobia, quindi, i percorsi psicologici riducono la sintomatologia, facendo in modo che la persona si avvicini con meno ansia alle situazioni amorose.

Riferimenti bibliografici
Tavormina, R. (2014). Why are we afraid to love. Psychiatria Danubina, 26(1), 178-183.
Veneruso, D. (2019). Philophobia e philoterapia: paura di amare. Milano: FrancoAngeli.

ipocondria

Ipocondria e paura delle malattie

Molte persone sperimentano una forte angoscia rispetto alla possibilità di ammalarsi. Ipocondria e paura delle malattie stanno diventando sempre più comuni, soprattutto in tempi di pandemia. Ma quando è possibile parlare di un vero e proprio disturbo di ansia da malattia?

Che cosa è il disturbo da ansia di malattia?

Nella quinta edizione del manuale diagnostico-statistico dell’American Psychiatric Association (APA, 2013) sono descritti i criteri per la diagnosi del disturbo da ansia di malattia. Si tratta di una condizione in cui la persona sperimenta una marcata ansia rispetto alla possibilità di essere ammalato o di potersi ammalare in futuro.

Questo disturbo, attualmente inserito nella categoria diagnostica dei disturbi da sintomi somatici e disturbi correlati, era in precedenza indicato con il nome di ipocondria. Con il passare del tempo, in effetti, è stata avvertita la necessità di cambiare la denominazione di una problematica che si accompagnava a una certa stigmatizzazione.

Nel linguaggio comune, essere ipocondriaci è sinonimo di essere malati immaginari. Persone che si lamentano con familiari e amici del proprio malessere, sommergendo i medici di richieste di cura inappropriate. E che sperimentano un’angoscia spesso incontenibile e che non risponde alle rassicurazioni.


Si tratta di una rappresentazione solo parziale della condizione di chi soffre di una forte ansia di malattia.

Quando la preoccupazione per la propria salute non trova possibilità di contenimento le persone che soffrono di ipocondria si rivolgono spesso a medici e servizi sanitari. Ma questo comportamento che non produce alcun sollievo. Del resto, non tutte le persone che vivono con l’ansia di ammalarsi si rivolgono al medico.

Talvolta, l’ansia può essere così forte da spingere la persona ad evitare di sottoporsi ad esami e visite. Il solo pensare a situazioni di questo tipo, infatti, può far crescere l’angoscia di essere ammalati a dismisura. E tradursi in un comportamento di evitamento che può avere anche serie conseguenze fisiche. Basti pensare a quanto può essere importante attuare adeguati comportamenti di prevenzione per mantenere un buono stato di salute.

Quando è possibile diagnosticare il disturbo di ansia da malattia?

Secondo il DSM 5 (2013), è possibile diagnosticare il disturbo da ansia di malattia in tutte le situazioni in cui la persona sperimenta la preoccupazione di avere o di poter contrarre una malattia. Una simile preoccupazione può essere riscontrata alla presenza di sintomi somatici di lieve intensità. Ma anche quando non è presente nessun sintomo.

Inoltre, nelle condizioni di rischio per lo sviluppo di determinate patologie, la preoccupazione per questa eventualità risulta comunque sproporzionata. L’ansia di ammalarsi è quindi elevata e la persona vive una condizione di allarme costante rispetto alla propria salute. Alla salute viene dedicata una grande attenzione, anche attraverso comportamenti correlati quali il cercare informazioni su sintomi e malattie.

Dr. Google? No, grazie.

La ricerca di informazioni può avvenire tramite internet e, spesso, ha come conseguenza quella di provocare ancora maggiore ansia. La rete, infatti, non può sostituire le valutazioni del medico e gli articoli di carattere divulgativo possono attivare angosce ancora più marcate.
Tornando ai criteri, il manuale precisa che si deve determinare una condizione in cui si rileva un disagio clinicamente significativo e il funzionamento sociale o lavorativo possono risultare compromessi. Queste manifestazioni, infine, dovrebbero durare da almeno sei mesi.

Quali sono le cause del disturbo da ansia di malattia?

Come per la maggior parte dei disturbi che comportano disagio psicologico, anche il disturbo da ansia di malattia non ha una sola causa. Piuttosto è il risultato dell’interazione tra più fattori di natura differente. Genetica, ambientale, fisiologica, sociale.
Diverse ricerche, per esempio, hanno dimostrato che alcuni circuiti neurochimici possono essere deficitari nei disturbi d’ansia. Questa caratteristica sembrerebbe spiegare anche una certa familiarità di queste problematiche. Avere un familiare che soffre di un disturbo d’ansia o di altre forme di disagio psichico, però, non comporta necessariamente il fatto di soffrirne a propria volta. Molto dipende anche dalle esperienze di vita e dalle modalità che ciascuno di noi ha sviluppato per rispondere agli eventi stressanti. Queste modalità, del resto, sono state apprese in famiglia e nel rapporto con i pari. Questo elemento spiega come a essere rilevante non sia solo l’ereditarietà.

Ma anche l’apprendimento sociale per osservazione ed imitazione. In tal senso, uno stile genitoriale ansioso o l’aver avuto dei familiari preoccupati della propria salute, possono essere dei fattori in grado di favorire l’insorgenza di un disturbo da ansia di malattia. Chi cresce con genitori ansiosi, infatti, ha maggiori probabilità di vivere il mondo come pericoloso e, se le paure genitoriali hanno riguardato la malattia, non è raro che anche i figli crescano con la paura di ammalarsi.
Lo sviluppo di questo disturbo, inoltre, si verifica spesso nelle persone che hanno vissuto una esperienza di grave malattia a carico di parenti ed altri cari, testimoniando il ruolo dei fattori ambientali.


Cosa fare se si soffre del disturbo da ansia di malattia?

L’ansia di malattia, come anticipato, può essere talmente forte da interferire con le attività della vita quotidiana. La tendenza a ricorrere a frequenti esami diagnostici e visite mediche ha un impatto sulla qualità della vita e delle relazioni, rappresentando un costo per il sistema sanitario.

Nelle situazioni in cui è presente evitamento di accertamenti ed esami, invece, il principale problema è che l’ansia di malattia si traduce in una scarsa possibilità di dedicarsi a delle sane attività preventive. Per tutte queste ragioni, chi soffre di un disturbo da ansia di malattia dovrebbe rivolgersi a un professionista della salute mentale al fine di superare l’angoscia connessa all’ammalarsi.

Nello specifico, un lavoro psicologico può aiutare ad avere informazioni su questo tipo di disturbo. E supportare la persona nell’individuazione di migliori strategie per affrontare le proprie angosce. Nel lavoro psicoterapeutico, infatti, la persona può entrare in contatto con le proprie paure e comprendere le ragioni dell ansia di malattia. Può anche apprendere a controllare meglio i propri comportamenti di richiesta di assistenza medica o di ricerca di informazioni. E a sviluppare progressivamente un atteggiamento nei confronti delle malattie più sereno.

Riferimenti bibliografici
American Psychiatric Association (2013). Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing.

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Chi ha paura del panico?

Chi ha paura del panico? Il disturbo da attacchi di panico è diffuso e frequente, specialmente nella popolazione giovanile. Quali i sintomi e i migliori trattamenti per questo problema?

Che cosa è il panico?

L’etimologia della parola panico richiama il dio Pan, figura mitologica legata alla natura. Il satiro, con sembianze umane ma gambe e corna da capra, spaventava chi ne turbava la quiete urlando in maniera terrificante. Questo scatenava nelle sue vittime una paura incontrollata.

Il panico è una forma intensa ed acuta di ansia.

Consiste in uno stato di intensa paura che determina una crisi che, di durata limitata nel tempo, in genere, si esaurisce nell’arco di 10-15 minuti.

Cosa succede durante un attacco di panico?

Durante un attacco di panico, la persona può sperimentare svariati sintomi fisici:

  • palpitazioni, tachicardia o dolore toracico;
  • sudorazione, brividi o vampate di calore
  • tremori, sensazione di torpore o formicolio
  • difficoltà respiratorie o sensazione di fiato corto;
  • senso di nausea o dolori addominali;
  • sensazione di sbandamento, instabilità, testa leggera;
  • paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire;
  • sensazione di distacco dalla realtà o di estraneità della propria persona o di parti del proprio corpo.

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I sintomi del panico possono ingenerare paura e terrore e associarsi a una sensazione di disastro incombente.

Il carattere dirompente dei sintomi e la loro intensità fa ritenere a chi ne soffre di essere preda di un disturbo fisico quale l’infarto. È invece importante sapere che in genere la crisi si risolve da sola e non comporta danni per l’integrità psicofisica della persona.

Molto spesso, comunque, questa informazione non è sufficiente a contenere la paura di poter sperimentare nuovamente una crisi.

La preoccupazione che un nuovo attacco di panico possa verificarsi è all’origine della cosiddetta ansia anticipatoria.

Tale paura sottosta a e alimenta l’evitamento delle situazioni che l´individuo ritiene capace di scatenare una crisi di panico. Molto spesso le situazioni temute sono quelle in cui si è verificato il primo attacco di panico.

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Quando è possibile diagnosticare un disturbo da attacchi di panico?

La maggior parte delle persone ha sperimentato un attacco di panico dopo un evento di vita particolarmente stressante o un periodo di stress intenso.

In effetti, alcune persone presentano una predisposizione genetica o psicologica alle problematiche di natura ansiosa.

In questi individui condizioni stressanti possono favorire l’insorgenza del disturbo da attacchi di panico.

Quando l’ansia supera una certa soglia, può infatti sfociare in crisi di forte impatto e intensità.

È per questo molto importante occuparsi delle proprie ansie e dello stress. Ci si può rivolgere a un professionista per un´adeguata diagnosi e per un trattamento efficace.

Le indicazioni per una diagnosi di disturbo di attacchi di panico vengono fornite dal DSM 5, il manuale diagnostico-statistico elaborato dall’American Psychiatric Association (2013).

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Il DSM-5 stabilisce i criteri per la diagnosi di attacco di panico.

Questa condizione si verifica quando la persona sperimenta almeno quattro dei sintomi precedentemente illustrati. I sintomi non devono però esserelegati all’assunzione di sostanze, ad altri disturbi psichiatrici, né a un disturbo di interesse medico.

Conseguentemente, la diagnosi di disturbo da attacchi di panico può essere effettuata se si verificano crisi ricorrenti.

Non solo. Almeno un episodio deve aver causato preoccupazioni persistenti di poter sperimentare nuovamente la sintomatologia. Oppure preoccupazioni per le implicazioni e le conseguenze del disturbo. O infine una modificazione dei propri comportamenti abituali.

Il DSM 5, inoltre, precisa che la diagnosi di disturbo da attacchi di panico può verificarsi in presenza o meno di agorafobia.

Tale condizione può essere riscontrata nei casi in cui un paziente presenti ansia nei confronti di situazioni quali trovarsi in diverse situazioni.

Spazi aperti, luoghi chiusi, fare la fila o essere in mezzo a una folla sono fra le situazioni maggiormente temute. Così come essere soli fuori di casa o doversi servire dei mezzi pubblici .

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Quali sono i trattamenti per il disturbo da attacchi di panico?

Il trattamento degli attacchi di panico può beneficiare di percorsi integrati che prevedano la compresenza di psicoterapia e farmacoterapia. Questo protocollo si è dimostrato molto efficace nel controllo e nella scomparsa della sintomatologia.

In genere la farmacoterapia, prevede la prescrizione di farmaci antidepressivi in associazione con degli ansiolitici a seconda delle necessità del paziente e della sua sintomatologia.

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L’approccio farmacologico deve però essere accompagnato da un´adeguata psicoterapia. Esistono diverse forme di psicoterapia per il trattamento del disturbo di panico. La psicoterapia cognitiva-neuropsicologica è utile sia nella riduzione della sintomatologia, che nel contrastare l’impatto negativo sulla qualità della vita.

Altre strategie di trattamento sono le terapie somatiche riabilitative, capaci di potenziare gli effetti della psicoterapia e di massimizzare l’efficacia della farmacoterapia.

Simili trattamenti agiscono sull’alterazione della fitness fisica. Questa infatti sembra essere presente in una percentuale importante di persone con disturbo da attacchi di panico.

Per maggiori informazioni sull´argomento è possibile consultare questa pagina.

Infine è importante trattare la sintomatologia quanto prima.

Tuttavia molti pazienti vivono con difficoltà l’uscire da casa. Ma per fortuna è possibile consultare un professionista avvalendosi di una modalità di consulenza e psicoterapia online.

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