Le 6 cause della claustrofobia
Restare bloccati in ascensore in attesa del tecnico o in una galleria a causa del traffico e provare una sensazione di ansia crescente. E’ una reazione comune, che non indica una patologia e che anzi spesso si risolve in poco tempo una volta terminata la circostanza in atto. Diversa la situazione per chi soffre di claustrofobia; per questi soggetti, l’ansia crescente all’interno dei luoghi ristretti può arrivare a scatenare veri e propri attacchi di panico. Vediamo insieme le 6 cause comuni della claustrofobia.
La claustrofobia letteralmente è la paura degli spazi chiusi.
I sintomi più comuni sono difficoltà di respirazione, senso di soffocamento, tachicardia, sudorazione, tremori e brividi, fino al possibile svenimento.
Secondo le stime, nel 75% dei casi i sintomi di claustrofobia non sono gravi e solamente una piccola percentuale di soggetti richiede un trattamento; i casi molto gravi interessano infatti solamente il 2-5% della popolazione. L’esordio della claustrofobia tende a essere precoce spesso infatti si manifesta in età preadolescenziale, prima dei 14 anni.
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Le reazioni più forti si hanno in presenza di eventi vissuti come traumatici, come la fermata improvvisa del treno della metropolitana all’interno della galleria fra due stazioni. Ma talvolta la claustrofobia si manifesta a livelli talmente alti che diventa impossibile convincere la persona che ne soffre semplicemente a salire su una metropolitana o su un ascensore. Addirittura, nei casi più gravi, il solo pensiero di esporsi a tali situazioni può innescare attacchi di ansia.
La soluzione più rapida, ma anche quella più disfunzionale, per gestire la claustrofobia nel quotidiano è evitare i luoghi che causano attacchi di ansia.
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Infatti, se nel breve termine l´evitamento contiene e riduce l´ansia, nel lungo termine produce l´effetto opposto. E a questo punto la´evitamento rischia di farla diventare una condizione invalidante. Chi ne soffre speso trova soluzioni alternative per non esperire tale ansia . Il claustrofobico inizia così a evitare gli ascensori, trovare tragitti alternativi per non utilizzare la metropolitana o per non percorrere gallerie, evitare luoghi troppo affollati, i bagni dei luoghi pubblici, e tutti gli altri mezzi di trasporto, come treni e aerei.
La fenomenologia della claustrofobia è variegata. Infatti non tutti i claustrofobici evitano l’aereo; qualcuno riesce a utilizzare la metropolitana ma evita le gallerie o i ponti; altri riescono ad affrontare le gallerie, a patto che non superino una lunghezza che il loro cervello ritiene ‘sicura’.
Ma perché qualcuno non riesce a compiere un gesto tanto comune come salire pochi piani di un palazzo in ascensore, mentre le stesse persone che vivono con lui lo fanno più volte al giorno senza difficoltà? Una domanda cui la scienza non è ancora riuscita a dare una risposta univoca, anche perché la claustrofobia può avere diverse origini e, di conseguenze, può richiedere diversi trattamenti.
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Le 6 cause della claustrofobia
Ecco una panoramica delle sei cause individuate dalla scienza medica per cercare di dare una spiegazione a questo disturbo.
1 – DISFUNZIONE DELL’AMIGDALA.
L’amigdala è una regione del cervello che processa tutto ciò che ha a che fare con le reazioni emotive, paura compresa ovviamente. Secondo alcuni studi, le persone affette da fobie (e attacchi di panico= avrebbero un’amigdala più piccola rispetto alla media degli esseri umani. Questo fatto potrebbe interferire con il meccanismo con cui il cervello dà l’avvio alle reazioni: una diversa percezione e valutazione del pericolo genererebbe una paura irrazionale verso situazioni vissute da altre persone come perfettamente sicure.
Potrebbe anche entrate in gioco l’atavico istinto di sopravvivenza. Respirare è necessario alla vita umana, e un luogo che viene interpretato come possibile causa di soffocamento fa scattare l’antico istinto, sepolto all’interno del nostro codice genetico, che spingerebbe letteralmente a scappare dal pericolo. Una volta era utile, ma oggi non ha più alcun valore di sopravvivenza.
2 – ERRATA PERCEZIONE SPAZIALE
Uno studio dell’ Emory University ad Atlanta, in Georgia, ha messo in campo un’altra teoria: chi soffre di claustrofobia avrebbe un’errata percezione dello spazio intorno a sé. Sembra infatti che i soggetti che hanno paura degli spazi stretti e chiusi non valutano bene le distanze orizzontali, sovrastimandole e percependo gli spazi più grandi di quanto siano in realtà.
La ricerca americana è una delle prime a concentrarsi sui meccanismi percettivi di questa specifica paura. La teoria su cui si sono concentrati gli studiosi è che gli individui che soffrono di tale fobia hanno una percezione spaziale problematica. Ognuno ha il proprio “spazio personale”, la distanza che ha bisogno di definire quando si trova in mezzo agli altri; sembra che coloro che proiettano il loro spazio personale troppo lontano dal corpo – mediamente oltre la lunghezza del braccio – sono più propensi a sperimentare la paura claustrofobica.
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Un disturbo che chi soffre di claustrofobia avrebbe in comune con chi soffre di acrofobia, ovvero la paura delle altezze, ciò che comunemente si indica come “avere le vertigini”. Per portare a termine lo studio, è stato chiesto a una serie di persone di dare una stima delle distanze sottoposte alla loro attenzione: secondo quanto emerso, i claustrofobici hanno sovrastimato quelle orizzontali, mentre gli acrofobici quelle verticali. L’osservazione dei meccanismi cerebrali e psicologici tende a collegare questi disturbi con una percezione distorta delle cose vicine rispetto a quelle distanti. Agli studiosi non è ancora chiaro se è la distorsione nella percezione spaziale a creare la fobia oppure se accade il meccanismo inverso.
3 – TRAUMI
L’insorgenza della claustrofobia può essere dovuta all’aver vissuto un evento traumatico. Restare bloccati in un bagno senza finestre, essere chiusi in un armadio da bambini per punizione o per una disattenzione, ritrovarsi per un tempo piuttosto lungo in un ascensore guasto sono solo alcune delle esperienze condizionanti che porterebbero alcune persone a sviluppare la paura irrazionale di ogni spazio chiuso.
La claustrofobia può essere radicata in esperienze accadute durante l’infanzia e l’adolescenza, o addirittura nella prima infanzia, senza quindi che la persona, una volta adulta, ne abbia memoria cosciente. Addirittura, secondo alcuni studi, la claustrofobia potrebbe essere connessa a qualche episodio traumatico legato alla vita intrauterina.
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Ma il trauma può anche non essere vissuto in prima persona. Come emerge da alcuni dati, sembra che sia stata registrata l’insorgenza della fobia anche in seguito seguito a informazioni televisive e giornalistiche, supportando l’ipotesi di una acquisizione indiretta e non associativa del disturbo.
Talvolta, la claustrofobia è correlata a specifiche situazioni, come, ad esempio, la prigionia o la necessità di ricorrere a rifugi nel corso di conflitti bellici.
4 – EREDITARIETA’ GENETICA E TRASMISSIONE COMPORTAMENTALE
Un’altra ipotesi sostiene che esista una predisposizione genetica della claustrofobia, che verrebbe trasmessa alla generazione successiva. Infatti, parenti di primo grado di individui con claustrofobia hanno un’alta probabilità di sviluppare lo stesso problema rispetto a individui con parenti di primo grado senza claustrofobia.
La fobia poi può essere trasmessa ai figli come modello comportamentale. Chi vive con un genitore, o in generale con un adulto di riferimento, che soffre di claustrofobia ha una maggiore percentuale di rischio di soffrirne a sua volta. Un bambino che per anni si trova a vedere la mamma o il papà evitare una serie di luoghi o spaventarsi in spazi chiusi, può iniziare ad associare paura e ansia a situazioni simili, fino a ritrovarsi a combattere lui stesso con la claustrofobia.
5 – INTERPRETAZIONE COGNITIVO-NEUROPSICOLOGICA
Secondo la tradizione cognitivo-neuropsicologica, la claustrofobia scaturirebbe dalla sensazione di impossibilità fisica di modificare la situazione in atto nel caso in cui si avvertisse uno stato di ansia (per esempio in ascensori, in locali piccoli e/o affollati, sui mezzi di trasporto, ecc.). In soggetti con claustrofobia, inoltre, i sintomi possono essere esacerbati da una maggiore sensibilità e vulnerabilità all´ansia e alla paura di esperire stati ansiosi. In particolare, i sintomi si svilupperebbero quando segnali corporei (come fiato corto, testa che gira o un cuore che batte più in fretta, ecc.) oltrepassano una certa soglia di familiarità o accettabilità.
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5 – INTERPRETAZIONE PSICOANALITICA
La sensazione di mancanza di aria e l’oppressione del senso di chiusura non solo in senso fisico. Secondo l’interpretazione psicoanalitica, la claustrofobia è una reazione a un importante conflitto sul piano psicologico, che viene rappresentato a livello mentali da immagini che scatenano lo stimolo fobico. La sensazione di oppressione può applicarsi, ad esempio, ai legami relazionali o sociali troppo opprimenti, motivo per cui si cerca una maggiore libertà, in grado di far riacquistare i propri spazi. Da qui il senso di soffocamento in ambienti troppo angusti e soprattutto chiusi, dai quali si cerca di scappare ancor prima di esserne rimasti intrappolati.
Anche in questo caso, la reazione di eccessiva paura di fronte a spazi ristretti spesso nasce in età infantile. Se da bambini il naturale istinto di esplorare viene scoraggiato, si genera un blocco che tocca anche la percezione di sé e delle proprie possibilità, fino a maturare una bassa autostima in età adulta. Una reazione che talvolta si accentua fino a tradursi in un’ansia verso qualsiasi situazione potenzialmente limiti la libertà: luoghi chiusi in primis, ma anche particolari situazioni claustrofobiche “simboliche” come una relazione o la nascita di un figlio.