Cos’è un disturbo di personalità?
Per rispondere a questa domanda tentiamo prima di dare una definizione di personalità.
Cos’è la personalità?
Per l’Organizzazione Mondiale della Sanità la personalità è una «modalità strutturata di pensiero, sentimento e comportamento che caratterizza il tipo di adattamento e di stile di vita di un soggetto e che risulta da fattori costituzionali, dello sviluppo e dell’esperienza sociale».
Nel DSM 5 leggiamo che la personalità è una «modalità duratura di percepire, rapportarsi o pensare a se stesso o all’ambiente.
Infine, il PDM I riporta: la personalità è quell’ «insieme di pattern relativamente stabili di pensare, sentire, comportarsi e mettersi in relazione con gli altri».
Ma siamo davvero sempre gli stessi?
Oppure le circostanze di vita sono in grado di modificare la nostra personalità? Per esempio, siamo sicuri che saremmo gli stessi dopo aver appreso di un tradimento, della scomparsa di qualcuno a noi caro o di una malattia importante? E ancora, possiamo dire che io sono sempre io come una pietra è sempre una pietra? Capite bene che la definizione di disturbo di personalità dipenderà molto dalla risposta che si darà a queste domande.
Esistono due approcci alla concettualizzazione dei disturbi di personalità
Il primo è l’approccio categoriale, che definisce un disturbo di personalità come un modo coerente di pensare, sentire e comportarsi che «devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo». Questa modalità è inflessibile e pervasiva, determina disagio clinicamente significativo o compromissione del funzionamento sociale, lavorativo etc. ed è (4) presente fin dall’adolescenza o dalla prima età adulta.
Il secondo è l’approccio dimensionale, che diagnostica un disturbo di personalità a partire da un continuum che va da una personalità sana ad una gravemente disturbata.
Chi sei?
Cosa possiamo chiamare rosa? Il seme? Il fiore? Il fiore appassito? E chi sono io? Il neonato di qualche giorno? Il bambino di qualche anno? L’adolescente, l’adulto o l’anziano? Questo significa che siamo sempre nell’atto di farci. E non c’è altro modo di comprendere noi stessi se non a partire dal movimento entro il quale ciascuno di noi diviene se stesso.
Questo significa che ciascuno di noi, pur essendo sempre se stesso, non è condannato a rimanere il medesimo. Il modo di essere delle cose viventi è il mutare. Solo il vivente è capace di mutare in modi peculiari, attivi, restando se stesso. Nel divenire è proprio ciò che permane ad essere, al contempo, ciò che muta. Questo è “il mistero” del divenire: il permanere che muta. Permanere mutando. E mutare permanendo. Ne deriva che il movimento è sempre un atto incompleto (altrimenti non sarebbe più movimento ma conclusione dello stesso).
Possiamo comprendere il permanere che muta della personalità a partire negli eventi che compongono la nostra vita. È dal movimento proprio della vita di ciascuno di noi che sorge l’unicità irripetibile della nostra personalità. E’ il movimento della vita, nel susseguirsi degli eventi a determinare la nostra personalità.
Questo diventa a sua volta un accesso per pensare la psicopatologia e pensare i disturbi di personalità non come un di-meno di salute ma come alterazioni del movimento dell’esperienza umana. Il disturbo non indicherebbe cioè una forma difettiva o mancata, rispetto alla possibile forma attesa ma sarebbe una forma altra (alterata) del movimento stesso dell’esistere.