Come vivere felici?
Cos’è la felicità per la psicologia? Come vivere felici? Come non perdere la felicità nonostante i problemi e le avversità quotidiane? Ne parliamo in questo articolo. Buona lettura!
Quali sono gli indicatori di benessere?
La psicologia positiva è una branca della psicologia che si occupa di investigare le variabili associate al benessere personale. Esistono alcuni indicatori oggettivi di benessere. Vediamoli assieme:
- La salute. Sia fisica che psicologica. “Quando si ha la salute si ha tutto”, recita l’adagio. Non c’è dubbio che godere di una buona salute ci apre a possibilità che la malattia, sia fisica che psicologica, ostacola o addirittura preclude. Ecco perché è importante prenderci cura di noi stessi.
- Le condizioni lavorative. Il lavoro ideale? Un lavoro soddisfacente, sfidante ma non eccessivamente stressante, non troppo lontano da casa. Che ci dia un senso di padroneggiamento della situazione. E caratterizzato da relazioni positive con clienti, superiori, inferiori e colleghi. L’aspetto economico? Importante ma sopravvalutato.
- Le condizioni abitative. Vivere in un’abitazione dignitosa, in un quartiere tranquillo o vivere in una catapecchia nel Bronx? Sono due situazioni estreme che ci aiutano a capire come il sentirsi comodi e al sicuro in una bella casetta possa influire sul nostro benessere psicologico.
- Le relazioni. Avere relazioni mature e soddisfacenti è un indicatore di benessere.
- La percezione personale di benessere. C’è chi si accontenta di meno ed è felice e chi invece ha molto ma resta sempre insoddisfatto. E’ importante riconoscere ed essere grati per ciò che di bello si ha nella vita.
Di cosa è fatta una persona felice?
Addentriamoci ancora un po’ alla scoperta della felicità e del benessere. La persona felice si contraddistingue per alcune caratteristiche particolari:
- E’ ottimista. Ossia nutre aspettative positive sul futuro. No, non stiamo parlando di una persona naive, staccata da terra e che vive sulle nuvole. Ma di chi sa ancora credere al bene. L’ottimista è una persona flessibile, che sa fare i conti con la realtà.
- Spera. La persona che spera il meglio ha sempre qualcosa di cui rallegrarsi. Un conto è, per esempio, prepararsi a un esame o a un colloquio da disperati (“tanto non ce la farò”) e un conto è sperare che tutto andrà bene.
- Ha una buona autostima. Per buona intendo qui né troppo alta né troppo bassa. La persona felice riconosce i propri pregi e i propri difetti, le proprie potenzialità e i propri limiti. E accetta entrambi.
- E’ resiliente. Ossia, quando la tempesta arriva e butta giù tutto, ricomincia a ricostruire, con pazienza. E’ facile qui vedere come la persona felice non sia immune dalle piccole e grandi difficoltà che la vita può porci davanti. Ma il resiliente, invece di disperarsi e mollare la presa, si rimette in piedi e va avanti.
Quando possiamo dire di stare bene?
L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce il benessere come quella condizione in cui la persona è in grado di:
- Usare le proprie capacità cognitive ed emozionali.
- Esercitare la propria funzione all’interno della società.
- Rispondere alle esigenze quotidiane della vita.
- Stabilire relazioni soddisfacenti e mature.
- Partecipare costruttivamente ai mutamenti dell’ambiente e adattarsi ai conflitti sia esterni che interni.
La felicità non coincide con la ricerca del piacere
Andiamo un po’ nello specifico. Ci sono due visioni di felicità. Quella edonistica e quella eudaimonica.
La visione edonistica fa coincidere la felicità con il raggiungimento del piacere.
Secondo la visione eudaimonica, invece, la vera felicità si ha nella conoscenza di sé, nell’espressione delle proprie capacità, talenti e potenzialità. Nel perseguimento dei propri scopi di vita. Eudaimonia è la vita buona, il vivere fiorente. Una vita impegnata e significativa. Non quindi dimensione solipsistica ma apertura e servizio all’altro. La felicità non è guardarsi l’ombelico, essere ripiegati su sé stessi. E’ qualcosa di più grande e bello della ricerca autogratificante e del piacere. Faccio un esempio. L’orgasmo nel sesso può essere raggiunto attraverso l’autoerotismo o nel rapporto sessuale. A livello di “chimica” il risultato sarà identico. Ma un conto è la masturbazione, un conto è far sesso con una persona soltanto per raggiungere il piacere (magari neppure amiamo questa persona) e un conto è fare l’amore con qualcuno che amiamo profondamente! Capite la differenza tra edonismo e eudaimonia?
I 6 indicatori di benessere psicologico
- Autonomia. La capacità di autodeterminazione. Il suo contrario è essere ossessionati dal giudizio altrui.
- Padronanza. Del contesto e dell’ambiente in cui si vive. Il suo contrario è sentirsi impotenti, per cui non si esplorano nuove opportunità.
- Crescita personale. Ossia sviluppare ed esprimere il proprio potenziale. All’estremo opposto troviamo noia, apatia e abulia.
- Relazioni. Le relazioni intime producono calore, empatia e reciprocità. Chi è infelice è invece sfiduciato, guardingo, poco aperto o addirittura ostile.
- Scopi. Le persone che stanno bene percepiscono che la loro vita ha un senso, una direzione, una continuità. Chi invece bene non sta esperisce una rottura tra passato, presente e futuro e decide di vivere in uno solo di questi tempi. Per esempio, il depresso vive nel passato. L’ansioso nel futuro. Chi soffre di mania o di disturbo borderline in un presente che sa di limbo eterno perché sganciato da passato e futuro.
- Accettazione di sé. Chi sta bene riconosce i propri pregi e difetti ed è in pace con entrambi. Non si inorgoglisce per i primi, né si butta giù per i secondi. All’opposto troviamo l’autocommiserazione del depresso: “Io non valgo nulla” o l’esaltazione, altrettanto patologica, del narcisista: “Io sono il migliore”.
La felicità è…un cartello stradale.
La felicità è un sentimento. Spesso confondiamo i sentimenti con la meta del nostro viaggio. Ma in realtà i sentimenti sono cartelli stradali. Ci indicano la via, un divieto, prudenza (come l’ansia), altri ci consigliano di rallentare (come la tristezza). Ma attenzione: noi non coincidiamo esclusivamente con quello che sentiamo. Né è quando analizziamo i nostri sentimenti che comprendiamo la nostra vita.
Posso essere felice per un nuovo amore, un nuovo lavoro, la nascita di un figlio, ecc. Poi, un giorno, mi sveglio e quella felicità non c’è più. E allora cosa faccio? Metto in discussione tutto perché “non sento più nulla”. Quanto è pericoloso vivere sotto la dittatura delle emozioni! Il problema è che abbiamo confuso quel progetto (l’amore, il lavoro, il figlio) con la meta. In realtà i progetti sono solo compagni di viaggio e non la destinazione finale. Semmai sono strumenti per raggiungere la nostra destinazione.
Quo vadis?
Dove vai? Qual è la meta del tuo viaggio? A cosa sei chiamato? Qual è la tua destinazione? Sono queste le domande giuste da farsi. E non chiedersi se si è felici (quello, in fondo lo sai già). Qual è il tuo destino? Ovviamente noi non sappiamo come andranno a finire le cose. Qui in ballo c’è la nostra libertà. Di decidere. Di sbagliare. Di ricominciare. Non possiamo non decidere. Ma spesso la scelta provoca angoscia perché scegliere significa definirci, mettere un limite ai nostri deliri di onnipotenza. E allora chiediti: qual è il tuo dono, il tuo talento, il tuo carisma? Come, e per chi, lo stai usando?
Felicità è….
Felicità è sapersi decentrare. Saper godere (anche) della felicità altrui. L’invidia invece è tristezza per il bene altrui. La felicità non è essere sazi. Né illusione di autosufficienza. Quando ci concentriamo troppo su noi stessi anche le relazioni iniziano a diventare problematiche perché l’altro mi appare come una minaccia, un ostacolo al raggiungimento della mia felicità o al mantenimento della stessa. E vediamo nemici dappertutto. Felicità è saper accettare che alcune cose stanno così (e non come vorremmo che stessero). E’ saper fare qualcosa di buono con quello che si ha. Da qui si vede la bravura di uno chef, da cosa riesce a fare di buono con quei quattro ingredienti che si ritrova in frigo.